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Acidi, Ammiragli e Amundsen.

Il doodle di google di oggi è dedicato al medico e biochimico ungherese Albert Szent-Györgyi.

Vediamo se riesco a dirigere un po’ di traffico qui, parlando un poco della vitamina C, e il meno possibile di Szent-Györgyi (copincollare ogni volta la ö nel suo nome è alquanto fastidioso.)

Fare il marinaio nelle epoche delle grandi navigazioni faceva schifo. Se prima del quattrocento le navi si allontanavano di rado dalla costa, adesso la tecnologia rendeva possibile lunghi viaggi oceanici, anche e soprattutto grazie a navi più grandi.

Navi più grandi significava più equipaggio per gestire vele più complicate, e più carichi, più acqua, più cibo. Quindi più persone, meno spazio, più malattie infettive, più scabbia, più pidocchi, e una dieta agghiacciante.

In mare è difficile tenere le cose al riparo dell’umidità. L’unica sostanza che rendeva impermeabile lo scafo era la pece, che non è proprio il massimo dell’efficienza. Di conseguenza, la dieta quotidiana era composta quasi esclusivamente da carne salata e gallette. Le gallette erano utili perché  scarsamente attaccabili dalle muffe: il lato negativo è che le muffe non le attaccavano perché facevano schifo anche a loro. Le gallette erano dure come il marmo, tanto che quando venivano infestate dalle larve di varie specie di corculionidi era una cosa buona, in quanto le rendevano più morbide e facili da mangiare.

Larve di punteruolo rosso, un curculionide. Mangiare questi cose rendeva più buone le gallette. Gnam (?)

In più, in mare, non si poteva accedere il fuoco, se non in caso di bonaccia assoluta. Il che significava che la carne non poteva essere fatta bollire e sterilizzare, e lo stesso era vero per le gallette, sia con ospiti che da sole. Le provviste che si caricavano prima della traversata oceanica non duravano a lungo; giacché dopo un mesetto dalla partenza, la vita dei marinai, che già faceva schifo, peggiorava ulteriormente.

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Le zanzare e l’arte della guerra

Zanzare.

Tra tutte le creature sulla faccia della terra, non credo esista niente di più odiato, disprezzato, vituperato e deprecato delle zanzare.

Tutti odiano le zanzare.

Ed effettivamente hanno ben donde. Oltre all’imparagonabile fastidio che questi mefistofelici insetti infliggono sull’umanità nei mesi estivi, sono il vettore della malaria.
La malaria oggi è per lo più considerata una malattia tropicale, che poco tange le nostre moderne antisettiche società del nord del mondo. Ma al di là del fatto che questo è vero solo da una manciata di decenni, la malaria è probabilmente la singola malattia che ha ucciso il maggior numero di esseri umani in tutta la storia.
250 milioni di nuovi casi l’anno. Un’ecatombe.
E sì, la colpa non è della zanzara, ma del dannato plasmodium, un parassita tanto dell’insetto che dell’uomo.

Ma è molto più soddisfacente odiare le zanzare.

Anopheles gambiae, la zanzara della malaria. Maledetta.

Queste bestie abominevoli hanno un cervello di dimensione paragonabile ad un punto su questa pagina.

Eppure, sono macchine da guerra che farebbero orgoglioso Sun Tzu.
Non importa quanto spesse siano le vostre zanzariere, non importa quanto mefitici siano i vostri repellenti, non importa quanto bene siate nascosti, le dannate succhiasangue troveranno il modo di trovarvi, e assaggiarvi.

Come cazzo fanno ?!

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Un uccello mi ha rubato i calzini!

No,  davvero.

Cioè, non a me personalmente, ma al mio amico Jared Diamond.

Che sì, tecnicamente non è mio amico in quanto non sa neanche chi io sia.

E sì, lo so che lo cito continuamente, ma come si fa a non amare una persona con una barba così?

Jared Diamond

Grazie, Wikipedia.

Ad ogni modo: JD ha pubblicato un articolo vent’anni fa su l’Annual Review Of Ecology And Systematics di cui sono venuto a conoscenza tramite la bibliografia di un libro alquanto awesome regalatomi (Consigli Sessuali Per Animali in Crisi – Olivia Judson), in cui parlava, tra l’altro, dei simpaticissimi uccelli giardinieri.

Un maschio di uccello giardiniere satinato mentre costruisce il suo nido. Notare i fashionissimi tappi di bottiglia. Fotocredits: Tim Laman, National Geographic, che si spera non mi faccia causa.

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