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MERS-CoV, “La nuova SARS”, un anno dopo

Un anno dopo la comparsa della SARS sulla scena pubblica, con quel famoso comunicato della WHO nel 2003, il panico era ovunque, ma la nostra conoscenza del virus era cresciuta in maniera esponenziale. In poche settimane dall’identificazione del virus il suo genoma era stato sequenziato, la sua riserva in natura nota, la sua epidemiologia compresa, e i primi trattamenti efficaci diffusi. La SARS è stata una totale e assoluta vittoria della comunità scientifica, medica e logistica internazionale.

Il 20 settembre 2012, il Dr. Zaki rivela al mondo la morte di un uomo saudita, dovuta apparentemente a quello che sembrava essere un nuovo coronavirus, un lontano cugino della SARS. Ad oggi, abbiamo avuto oltre 130 casi, e 58 morti confermate.

Ad oggi stiamo parlando di una malattia infettiva emergente che uccide metà della gente che infetta, che è causata da un nuovo virus del quale non si conosce la riserva o l’ospite naturale, che si trasmette tra persone in un modo che non comprendiamo, un virus che sparso nell’ambiente rimane infettivo per chissà quanto, che ha già migrato tra nazioni, che potrebbe spargersi  in maniera asintomatica nel mondo e causare peggioramenti solo in concomitanza con altre malattie, e per il quale non esiste nessun vaccino o terapia antivirale che ha dimostrato di funzionare.

Siamo terribilmente, terribilmente in ritardo. Anche perché la malattia, al di là di pochi isolati casi (anche in Italia) sta colpendo principalmente i paesi del medio oriente, in particolare l’Arabia Saudita.

Arabia Saudita dove presto si riverseranno decine di milioni di pellegrini per l’Hajj. Se si volesse fare allarmismo, si potrebbe dire che è una bomba ad orologeria. Ma il paradosso è che siamo ancora ad un punto in cui non ne sappiamo abbastanza per quantificare il rischio. Che, nonostante la nostra incapacità di quantificarlo, esiste senza dubbio.

Dopo un anno dalla scoperta della SARS, erano già stati pubblicati più di un migliaio di articoli scientifici; ad oggi, Pubmed ne indicizza poco più di 200 sulla MERS-Cov.

Ma 200 articoli scientifici non sono pochi, e anche se grattano appena la superficie, possiamo usarli per cercare di capire quello che sappiamo, quello che sappiamo di non sapere, quello che non sappiamo di non sapere, e perché diavolo non siamo stati in grado di fare meglio in questo caso.

L’origine della specie

In analogia con la SARS, il virus che causa la Sindrome Respiratoria Medio-Orientale (Middle-Eastern Respiratory Syndrome, da cui MERS) è probabilmente una zoonosi, un virus trasmessoci da una qualche altra specie animale. I primi frammenti di genoma del virus ottenuti, una volta sequenziali, sono stati confrontanti con quelli di altri coronavirus noti, alla ricerca dell’origine del passaggio interspecifico del virus. Inizialmente, per pura comparazione di sequenza, il candidato ritenuto più probabile sembrava essere il pipistrello africano: il primo ceppo di MERS di cui si conosceva almeno parte del DNA, isolato da un paziente inglese, sembrava essere strettamente imparentato con un Coronavirus che colpisce i pipistrelli. Ma, tanto più che altri esperimenti si accumulavano lentamente, e tanti più i casi e le vittime aumentavano, l’idea di un passaggio diretto perdeva credito.  Nei casi sporadici di MERS, dove per sporadici si intende non direttamente collegati ad altre infezioni umane, concentrati per lo più in Arabia Saudita, sembra improbabile che la trasmissione sia causata da contatti coi pipistrelli africani visto che le specie di chirotteri interessate non sono certamente comuni in medio oriente, e generalmente i contatti tra esseri umani e pipistrelli sono piuttosto scarsi. Sin da quasi subito è dunque partita la caccia ad altro ospite intermedio, una riserva che facilitasse la zoonosi, la trasmissione del virus tra animale e uomo. Le ricerche di questo tipo sono ancora in corso, ma dopo aver considerato cani, gatti, pipistrelli, capre e babbuini, l’indiziato principale è il dromedario.

Sul Lancet Infectius Diseases, è stato pubblicato un articolo che, testando il sangue di svariate specie di bestiame provenienti da vari paesi medio orientali, alla ricerca di anticorpi specifici per questo nuovo virus. Tutti e 50 i dromedari testati, provenienti dall’Oman, hanno anticorpi con qualcosa di molto simile al MERS, abbastanza almeno da causare un falso positivo. Nell’uomo, i casi positivi ai test con gli anticorpi vengono considerati “probabili”, ma prima che il WHO si sbilanci richiede una serie di test più approfonditi, principalmente l’effettiva individuazione del DNA virale tramite PCR.

Questi dromedari sono animali “in pensione” da diverse scuderie dove vengono allevati per la corse. Il fatto che il 100% degli animali testati sia positivo non è molto probabilmente un caso.
I paesi più colpiti dalla MERS, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, producono e consumano una grande quantità di carne di camelidi vari, e gli autori sottolineano che molti di questi animali vengono anche importati dall’Africa, dove potenzialmente può essere avvenuto il primo salto di specie tra chirotteri e camelidi.

Non si può escludere che il virus sia solo simile alla MERS, e non effettivamente lo stesso che colpisce l’uomo, perché i virus non sono ancora stati effettivamente isolati da i cammelli, né si può escludere che esistano altre specie riserva, e che il virus passi facilmente da una specie all’altra, ma per quanto ne sappiamo, i dromedari sembrano essere la scommessa più sicura.

Da questo punto di vista, non è particolarmente rassicurante l’idea che durante i riti per l’Hajj in Arabia Saudita sia uso praticare la macellazione rituale di dromedari in pubblico come sacrificio religioso.

Per il compleanno del Virus, sul Lancet è stato pubblicata la più estesa indagine molecolare finora, cercando una sorta di albero genealogico delle trasmissioni nell’uomo per cercare di ricostruire gli eventi e individuare, se non il paziente zero, esattamente con cosa abbiamo a che fare. Il virus è stato isolato da un team congiunto Saudita-Britannico in 21 pazienti, riuscendo a sequenziare almeno 13 genomi completi. Confrontando queste nuove sequenze geniche, prestando attenzione alle mutazioni che questi virus accumulano molto velocemente passando da ospite ad ospite, si può indagare la storia naturale del virus (Per saper di più sulla filogenesi e gli orologi molecolari in generale, c’è questo articolo qui).

Combinando questi dati molecolari ai dati geografici, i ricercatori hanno fatto una scoperta inquietante. Uno dei virus sequenziati, isolato da un paziente a Riyadh il 23 Ottobre 2012 era su un ramo dell’albero genealogico completamente diverso da quello di un secondo virus isolato una settimana dopo, nella stessa città di Riyadh.

Questo significa che due ceppi di virus, discendenti da uno stesso antenato, stavano circolando nella città contemporaneamente, non visti, da abbastanza tempo per evolversi in due ceppi distinti. Un’infezione silenziosa, forse asintomatica, in corso almeno dal luglio 2011, più di un anno prima della prima individuazione della MERS.

Ipoteticamente, si potrebbe pensare che il passaggio tra riserva animale (diciamo il dromedario), sia avvenuto più di due anni fa, e poi ci sia stato un passaggio tra esseri umani, che ha spezzato l’albero in due rami, ma è molto improbabile: quando la sindrome si manifesta ha una mortalità troppo alta perché una cosa del genere possa passare inosservata.

L’alternativa è che il virus sia saltando continuamente tra animale e uomo, o magari addirittura da un ospite animale primario, a uno secondario, all’uomo. Questo spiegherebbe la divisione in ceppi e lignaggi distinti, e spiegherebbe come sia possibile la parentela tra un virus umano, uno di un cammello e un pipistrello su un altro continente.

Sono risultati contemporaneamente rassicuranti e terrificanti. Rassicuranti perché non esiste una catena ininterrotta di trasmissione da uomo a uomo, il che fa pensare, almeno preliminarmente, che questa sia difficile, o limitata a situazioni in cui le vittime sono pregressamente immunodepresse o indebolite. D’altro canto, è certo che il virus può trasmettersi da uomo a uomo, animale-animale e uomo-animale: il che significa che ha un sacco di occasioni perché possa mutare e diventare peggio, e se ciò avviene nella riserva animale, sulla quale abbiamo zero controllo in quanto non sappiamo con certezza quale sia, è un grosso, grosso problema.

 La selezione naturale ha bisogno di grosse popolazioni e molte generazioni perché una mutazione possa dominare sulle altre e diffondersi principalmente. Se un virus che infetta uno specifico individuo muta in una variante che aumenta la sua capacità di diffusione tra gli esseri umani, la probabilità che riesca a trasmettersi ad un altro essere umano, che possibilmente deve essere immunosoppresso, è molto bassa. Ma se esiste una popolazione di portatori sani, e specie animali che possono fornire nuove varianti continuamente, la probabilità che mutazioni vantaggiose si diffondano aumenta inesorabilmente. Quanto ? Non lo sappiamo, non ne sappiamo abbastanza.

L’origine di una pandemia? 

Per quanto i virus siano generalmente abbastanza fragili, sappiamo che nelle giuste condizioni ambientali molti possono rimanere integri e infettivi per ore, anche giorni al di fuori di un ospite. Le variabili che influenzano questa sopravvivenza possono essere molte, dalla temperatura, all’umidità, al pH. E’ uno dei motivi per cui l’influenza è stagionale.

Recentemente sono usciti i primi dati di ( su Eurosurveillance) sulla stabilità ambientale del coronavirus che causa la MERS, e non sono particolarmente rassicuranti. Il virus dell’influenza A, esposto su una superficie di acciaio o plastica, non sopravvive più di 4 ore, indipendentemente dalle altre condizioni ambientali.

MERS-CoV è in grado di sopravvivere 48 ore a 20 °C con il 40% di umidità sulle superficie, e anche in aerosol è resta molto stabile alle medesime condizioni, anche se diminuisce rapidamente all’aumentare dell’umidità relativa.

Il che significa che a condizioni di umidità e temperatura favorevoli, tipo, non so, quelle di un ospedale con l’aria condizionata, il virus può sopravvivere sulle superfici e nell’aria. Il che va a braccetto con l’alto numero di epidemie localizzate negli ospedali.

La WHO sta particolarmente attenta alle infezioni tra il personale sanitario, e la diffusione della malattia in questa categoria è considerata particolarmente preoccupante non solo perché sono più a contatto con persone immunodepresse e possono essere vettori, ma anche perché (almeno presumibilmente) seguono di routine tutta una serie di procedure per minimizzare i rischi di infezione, e se nonostante ciò diffondono la malattia non è un buon segno. Nell’epidemia di SARS del 2003, un quinto dei casi era costituito da personale ospedaliero.

Per ora i casi di questo tipo per il MERS-CoV sono limitati, ma è anche vero che il numero complessivo di infetti è molto minore: tre delle morti su 58 complessive attribuibili alla MERS hanno interessato personale sanitario, per un 5% di mortalità che è un dato preliminare ma non molto rassicurante.

La maggior parte dei casi finora confermati è in maschi più vecchi di 45 anni, mentre molti meno casi e nessuna morte è avvenuta tra i minori di 21 anni, che conferma l’idea che la MERS sia il risultato di un’infezione opportunistica.

In Italia, il caso finito sui giornali è stato quello di un quarantacinquenne giordano che ritornava in Toscana dopo un viaggio di 40 giorni nella sua patria nativa. Al ritorno presentava già sintomi influenzali con febbre e difficoltà respiratorie, ed è stato ospedalizzato il 28 Maggio 2013. Suo figlio, in Giordania, ha manifestato gli stessi sintomi, e anche la nipote, di appena un anno e mezzo, è risultata positiva al MERS-COV. Tra i contagiati da questo “vettore”, anche un collega di lavoro, con una incubazione apparente di 6 giorni. In tutti i casi, salvo il 45enne Giordano, le infezioni sembrano essere rimaste in un vicolo cieco, e tutti i contagiati di questo out break sono sopravvissuti. La trasmissione tra umani sembra difficile, e tendenzialmente non continua oltre individui che sono stati a stretto contatto con un caso confermato: la trasmissione sembra avvenire per via aerea tramite goccioline di dimensione superiore a 5 micron.

Se la trasmissione è per via aerea, perché le epidemie sono (per ora) limitate ? Non lo sappiamo, non con precisione. Ma ci sono indicazioni parziali da modelli animali.

L’unico modello sviluppato finora è il Macaco che, infettato con un il virus, sviluppa l’infezione nei tratti profondi del sistema respiratorio. I segnali clinici sono praticamente identici a quelli nell’uomo, e possiamo quindi essere ragionevolmente convinti che il MERS-COV abbia un tropismo per i pneumociti alveolari, il che può spiegare sia la limitata trasmissione umano-umano, sia la letalità dell’infezione.

Se il coronavirus non evolve, il rischio pandemia dovrebbe essere relativamente basso nei paesi occidentali, ma rischia comunque di colpire molto duramente le fasce già più deboli e svantaggiate della popolazione.

Ma una cura non c’è ?

E’ difficile trovare una terapia per qualcosa che non si sa bene come funzioni. Al limite dell’impossibile, oserei dire. Non esistono sul mercato antivirali efficaci contro i coronavirus, quindi l’unica terapia disponibile è di supporto al paziente (fluidi, ventilazione e perfino ECMO, antibiotici per infezioni secondari, etc.) . Ci sono però indicazioni per una combinazione di due farmaci antivirali (Interferone-alfa-2-b e ribavirin) che, dopo aver mostrato risultati promettenti in vitro, sono stati utilizzati nel macaco e hanno effettivamente mostrato una riduzione della replicazione del virus, e un miglioramento della condizione clinica. E’ una buona notizia, ma ci sono una serie di precisazioni da fare:

–       In primis, come già detto, il MERS-CoV si comporta per lo più come infezione opportunistica che colpisce individui immunosoppressi e/o deboli per altri motivi. I macachi utilizzati, come da normativa, sono individui giovani e sani a cui il virus è stato sperimentalmente inoculato, ragion per cui sono sin da subito in condizioni migliori per lottare contro il virus

–       In secondo luogo, il trattamento con questi antivirali è iniziato 8 ore dopo l’infezione (per motivazioni etiche, suppongo); nessun paziente umano può ragionevolmente aspettarsi che un infezione del virus sia riconosciuta in così poco tempo e il trattamento iniziato così rapidamente, almeno per ora

–       In generale, il MERS-CoV colpisce più severamente gli esseri umani che i Macachi, perché è meglio adattato all’uomo.

Tolti questi dati preliminari, non ci sono molte ragioni per essere ottimisti riguardo un trattamento efficace, almeno non nel breve periodo.

Perché ne sappiamo così poco ?

E’ facile giocare a scaricare il barile, e le colpe sono molte e molto ben distribuite. Ciò detto, il comportamento dei governi medio orientali, in particolare dell’Arabia Saudita, è quantomeno opinabile. In particolare, il Center For Disease Control e la WHO lamentano l’assoluta mancanza di cooperazione del governo saudita quando si tratta di condividere le informazioni sui pazienti. Il governo saudita si difende sostenendo che lo fa per proteggere la privacy dei pazienti, ma quelli che sono necessari agli esperti non sono certamente i dati sensibili, quindi si tratta di una scusa alquanto debole. Inoltre, fino a pochi mesi fa il governo sembrava facesse il possibile per insabbiare l’epidemia, nascondendo la sua diffusione; solo da poche settimane le televisioni e i giornali mandano messaggi per preparare la popolazione, ma che comunque non raggiungono le zone più remote della nazione, dove si sono verificati la maggior parte dei casi. Inquietantemente, anche il personale ospedaliero delle città colpite dal virus tipicamente nega anche di fronte all’evidenza che la MERS abbia colpito, quasi a voler nascondere un disonore; e un solo laboratorio in tutta la nazione è abilitato a verificare che i casi definiti “probabili” siano effettivamente causati da questo coronavirus: una procedura che non solo rallenta terribilmente le operazioni, ma che permette anche una sorta di censura governativa. E’ raro che si possa usare la Cina come termine di paragone per la trasparenza, ma in questo caso l’Arabia Saudita si sta comportando molto peggio di quanto la Cina abbia fatto con l’influenza Aviaria (in cui, per la verità, il comportamento cinese è stato ineccepibile), e con la SARS. Quando ci si lamentava della mancanza di cooperazione orientale, non ci si aspettava certamente che l’Arabia Saudita, il paese più amico delle superpotenze dell’occidente in medio oriente, potesse fare peggio.

– Ultimo Update: 28/09/2013

Bibliografia:
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=%3Cli%3E+A.M.+Zaki+et+al.+Isolation+of+a+Novel+Coronavirus+from+a+Man+with+Pneumonia+in+Saudi+Arabia.+N+Engl+J+Med.+(2012)
http://www.who.int/csr/disease/coronavirus_infections/update_20130920/en/index.html
http://www.eurosurveillance.org/ViewArticle.aspx?ArticleId=20596
http://www.pnas.org/content/early/2013/09/18/1310744110.short?rss=1
http://www.nature.com/nm/journal/vaop/ncurrent/abs/nm.3362.html
http://online.wsj.com/article/SB10001424127887324807704579086821158272430.html?mod=wsj_share_tweet