Perché dobbiamo la nostra esistenza ad un virus

C’è una domanda abbastanza standard nella “divulgazione scientifica” che viene spesso posta a quel genere di scienziati che va in TV a farsi intervistare.

E la risposta a questa domanda è altrettanto standard, almeno dai tempi di Carl Sagan in po: quando ti chiedono ” Qual’è il fatto più straordinario che la scienza ti ha insegnato ” la risposta è un poetico sviolinamento della nucleosintesi stellare. Neil DeGrasse Tyson, Michiu Kaku, Krauss, la Hack, perfino Dawkins (Dov’è l’orgoglio biologico!?!):  a tutti piace ricordare come gli atomi che compongono il nostro stesso corpo, il ferro nel nostro sangue, il calcio nelle nostre ossa, siano stati creati a partire da elementi più semplici in quelle enormi forge a fusione nucleare che sono le stelle, che poi, solo esplodendo hanno potuto spargere i loro prodotti, indispensabili per la vita, nell’universo.

“Dimenticati Gesù”, dice Lawrence Krauss ” Una stella è dovuta morire perché tu potessi vivere “, facendo  eco a modo suo al ” Siamo polvere di stelle ” di Carl Sagan che sicuramente piace a quelli di Stukhtra (un altro blog che dovreste leggere invece di questo)

E, probabilmente, per quanto possa rimproverare Dawkins, se mi aveste preso di sopresa prima della scrittura di questo articolo sarebbe stata anche la mia di risposta, perché la nucleosintesi stellare è una grandissima figata.

Ma, dal momento che io non vado in tv e quindi difficilmente la gente mi può prendere alla sprovvista, voglio proporre una alternativa biologica.

Se non fosse stato per un virus, nessuno di noi sarebbe mai nato.

Gli embrioni di un bradipo, pangolino e armadillo, da On the structure and development of the skull in the mammalia (1874) di William Kitchen Parker, via Openlibrary.org

Dobbiamo tornare indietro una dozzina d’anni per l’inizio di questa storia. E’ il 2000, e la gara per il sequenziamento del genoma umano sta per giungere a termine. Nuovi geni vengono individuati e sequenziati per la prima volta, e tra questi, un team di scienziati di Boston descrive un particolare gene che codifica per una proteina. La battezzano “sincitina”: si tratta di una proteina peculiare e specifica, che viene espressa soltanto dalle cellule della placenta. In particolare, le cellule che producono sincitina sono localizzate dove la placenta entra in contatto con l’utero. Solo e soltanto le cellule che producono sincitina sono in grado di fondersi insieme a costruire il sinciziotrofoblasto, una struttura essenziale che permette al feto di ricevere nutrimenti dal flusso sanguigno materno.

Ma la cosa particolare della sincitina non è tanto quello che fa, ma da dove viene. Perché la sincitina non è un gene umano, ma virale.
Grazie al progetto genoma umano, sappiamo che circa l’8% di tutto il nostro materiale genetico è formato da frammenti virali. Frammenti di retrovirus, quella variante particolarmente infida di creature che una volta entrate nella cellula non si limitano semplicemente a dirottarla per produrre copie di loro stessi, ma si inframmezzano direttamente nel genoma dell’ospite, retrotrascrivendosi. Se la cellula che il retrovirus infetta è un uovo o uno spermatozoo, ecco che il virus, come qualsiasi altro gene, sarà trasmesso nella generazione successiva. Nel genoma umano ci sono circa centomila (100000!) inserzioni di questo tipo.

La maggior parte delle volte queste sequenze si inattivano per sempre. Diventano zone di DNA non funzionale, accumulando mutazioni e perdendo la loro funzione originaria, a volte acquisendone di nuove: sono argilla, nuovo materiale che la selezione naturale può plasmare come un vasaio cieco.

Ma, anche tra i residui di inserzioni virali, la sincitina è particolare. E’ particolare perché non è cambiata, e continua a fare esattamente quello che faceva: prima costringeva le cellule a fondersi, per permettere al virus di spostarsi da un nucleo ad un altro. Ora costringe le cellule a fondersi, con un fine ultimo leggermente diverso: tenere in vita l’embrione.

Conoscendo il ruolo della proteina e della sua sequenza, si è andati a cercarla nei nostri parenti più stretti. Lo scimpanzè? Ce l’ha. Il gorilla ? Pure. Tutte le scimmie antropomorfe hanno lo stesso gene per la sincitina, estremamente simile nella sua sequenza, con la stessa funzione. Evidentemente, ad essere infettato è stato un antenato di tutte le scimmie antropomorfe, che poi ha trasmesso a tutti i suoi discendenti, noi inclusi, questo gene. Studiare questo genere di relazione non è una cosa insolita: i retrovirus endogeni sono spesso usati per costruire alberi filogenetici, sfruttando le inserzioni differenti per capire quando questa specie si è separata da quella e quanto sono imparentate.

Non finisce così. Un virologo francese, Thierry Heidmann, andando a caccia di inserzioni virali nel genoma del topo, scopre, nel 2004, che anche lui ha il gene della sincitina. Se questo viene spento da una mutazione l’embrione non supera l’11esimo giorno: la dimostrazione definitiva che il gene è imprescindibile per lo sviluppo della prole. Senza gene virale non può sopravvivere.

Ma, qualcosa non torna. Se si confrontano le sequenze delle scimmie antropomorfe con quella del topo, il gene è troppo differente per venire da un antenato comune. E’ addirittura troppo differente per venire dallo stesso virus! Si tratta di due inserzioni separate, in due linee separate, di due virus di specie separate.

Ad Heidmann non basta. Va a caccia di nuove sequenze, in nuove specie, in nuovi ordini. Sequenzia tutto quello che ha a portata di mano. Cani e gatti hanno la stessa sincitina: ma è un altro tipo di sincitina, nuovamente distinto da quello umano e quello dei topini. Questa volta però la variante Car1 è condivisa da tutti i membri dell’ordine Carnivora: cani e gatti, ma anche mustelidi, leoni marini, persino i dannati orsi panda.

Un chiaro diagramma dal paper mette in luce le parentele dei geni. Come vedete, la scelta dell’embrione di pangolino nella foto precedente non era casuale: a loro piace fare i diversi.

Eppure, il gene non c’è nel parente vivente più vicino ai carnivori: l’amabile pangolino. 85 milioni di anni fa, quando i carnivori si sono separati dagli altri mammiferi, uno di loro è stato infettato da un retrovirus, trasmesso a ogni singolo discendente, in qualsiasi specie o razza, diventando assolutamente indispensabile per costruire la loro placenta.

Sappiamo ora che ci sono almeno 6 occasioni distinte in cui è avvenuto che una sincitina virale si infilasse in un genoma, modificandone per sempre la placenta. Non un singolo evento di creazione speciale, ma più eventi, totalmente casuali, totalmente fortuiti, totalmente indipendenti.

Ci sono molte poche eccezioni. I cavalli, ad esempio, non hanno un gene virale per la sincitina, e devono quindi costruire una placenta tutta particolare, a cui per decenni biologi e veterinari hanno cercato di dare una spiegazione. La spiegazione potrebbe semplicemente essere che i loro antenati non sono stai infettati dal virus giusto al momento giusto.

Forse non è poetico come parlare di stelle o awesome quanto parlare di esplosioni: ma il fatto in sé resta straordinario:

I virus hanno inventato i mammiferi.

  1. Allora il cavallo non e’ un mammifero …

  2. C’è la possibilità di avere delle fonti(pubmed, nature ecc.)?

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