Da dove vengono i bambini? Se non avete nessuna idea della risposta, fate una pausa nella lettura ora, e andate a fare quella chiaccherata di rito con il vostro genitore favorito; se nella vostra vita le cose funzionano come nei film, con larghe metafore di api/fiori e impollinazioni varie, dovreste nonostante tutto avere una migliore idea di come funziona la riproduzione umana della maggior parte delle persone per la maggior parte della storia dell’umanità.
Oh, non fraintendete: che i bimbi vengano dalla vagina della loro madre è un’informazione patrimonio dell’umanità dall’inizio della specie; come i bambini ci finiscano dentro, però, è tutta un’altra questione.
Strano ma vero, sappiamo dare una risposta decente alla domanda “da dove vengono i bambini?” da solo una manciata di secoli.
Magari siete lettori di una qualche setta di cristiani rinati, teocon repubblicani, o ciellini, e neppure riuscite ad immaginare l’atto della copula separato da un atto riproduttivo: sia come sia, sappiate che è ragionevole pensare che l’idea che il sesso sia la cosa che ficca i bambini nell’utero non ha più di una decina di migliaia di anni.
Le prime popolazioni umane probabilmente non lo sapevano. Il collegamento tra sesso e bimbo-in-progress non è così scontato se non si ha qualche riferimento in cui inquadrarlo: tra una copula “efficace” e i primi segni visibili di gestazione possono passare settimane, e, comunque, la maggior parte degli atti riproduttivi neppure porta effettivamente ad una gravidanza. L’idea che il sesso servisse alla riproduzione si è probabilmente diffusa solo con l’avvento dell’allevamento, con un osservazione più distaccata e accurata, vista la necessità di mettere a contatto maschi e femmine nel momento giusto.
Tra l’altro, continuo ad usare la parola “riproduzione” con smaccata nonchalanche, ma, tanto per sottolineare quanto siamo stati ignoranti nei secoli, è bene far presente che la parola stessa è stata coniata dal Conte di Buffon nel 1749.
Fino ad allora, si parlava di generazione, che includeva sia la generazione di prole da parte di maschio e femmina di una specie, e sia la generazione “spontanea” di determinate creature come gli insetti che, Aristotele insegnava, non avendo sangue potevano svilupparsi dalla materia bruta.
Aristotele, come al solito, con le sue idee ha lasciato un’influenza massiccia su tutto il resto della storia dello sperma e dell’uovo. Il padre della biologia pensava che nella generazione della prole la femmina fornisse la materia prima, sotto forma di sangue mestruale, mentre il maschio la forma, come uno stampino che s’imprime sulla cera calda a formare un sigillo o, in un’analogia leggermente più familiare, come un seme che cresce in pianta quando viene piantato in un terreno fertile.
Aristotele si sbagliava per due motivi: in primo luogo, come sosteneva invece il padre della medicina, Ippocrate, doveva esistere anche un seme femminile insieme al maschile; in secondo luogo, la gran parte della materia che forma le piante non viene dal seme ma dall’aria, il che rende la sua analogia doppiamente erronea.
Ma, salvo che nell’antica roma, l’idea che esistessero due semi non attecchì molto, forse anche perché le principali religioni monoteistiche occidentali sostenevano il ruolo predominante dello sperma maschile: Onan non deve disperdere il suo seme, perché come ricordano i Monty Pythons, “Every Sperm Is Sacred”; la mestruazione femminile invece, quantomeno nel vecchio testamento, è robaccia impura da cui bisogna star il più alla larga possibile.
Per 1500 anni nell’occidente e il vicino oriente l’idea di Aristotele in questa come in molte altre questioni rimase lo standard, poi, in Inghilterra, un medico inglese che passerà alla storia per altri motivi, pubblica finalmente un libricino eretico.
Prima di smentire le idee di Aristotele riguardo la circolazione sanguigna (Aristotele pensava che il sangue venisse continuamente generato dal fegato, e poi distribuito e mangiato dagli altri organi periferici), William Harvey nel 1651 pubblica il “De Generatione Animalium”, in cui espone la sua teoria, maturata in seguito a dissezioni a caccia di uova all’interno dei “testicoli femminili” (cioè le ovaie): la nuova vita si genera nell’utero della donna come un pensiero si genera nel cervello o l’appetito nello stomaco, senza nessuno specifico uovo o struttura affine a contenere il principio germinativo.
E, badate bene, Harvey era sì un filosofo naturale profondamente religioso e rispettoso alla tradizione, ma era anche uno dei più grandi sperimentalisti dei suoi tempi: uno dei suoi allievi, Willis, sarà uno dei primi a collocare finalmente la sede della mente nel cervello e non nel fegato o nel cuore, perseguendo l’empirismo insegnatogli dal suo mentore. Il fatto che Harvey nonostante la sua serietà e abilità si sbagliasse così di grosso sulla questione della riproduzione è chiara indicazione che nessuno, a quei tempi, avesse gli strumenti necessari per arrivare al nocciolo della questione.
Gli strumenti compariranno 20 anni dopo, nelle mani di un mercante di stoffe olandese.
Anthony Leeuwenhoek non ricevette mai un educazione scientifica formale, ma ciò non gli impedì di dilettarsi ad inventare (o quantomeno rendere popolare) il microscopio a singola lente. Robert Hooke, l’eterno, bassino rivale di Newton che doveva stare sulle spalle dei giganti per vedere più in là, aveva in realtà già inventato il microscopio e pubblicato un libro straordinario, Micrographia, nel 1665.
Sfortunatamente per Hooke, il suo microscopio composto era terribilmente complicato da usare e aveva una capacità d’ingrandimento di poco superiore a quello di una semplice lente, oltre che vari problemi tecnici per quanto riguardava la risoluzione e i vari tipi di aberrazione.
Leeuwenhoek, invece, utilizzava uno strumento ben più semplice, con una singola lente sferica, che veniva soffiata, come i vetri di murano: questo la rendeva ben più chiara e la messa a fuoco era intuitiva, semplicemente avvicinando e allontanando lo strumento, come una lente di ingrandimento. Il suo microscopio fu un successo anche commerciale, e diventò popolare in tutta l’Olanda, rendendo Leuweenhoek un microscopista stimato, con ampi contatti con la Royal Society, aumentando la sua autostima a tal punto che cominciò a farsi chiamare Van Leeuwenhoek.
Nel 1677, un amico di Leeuwenhoek si presenta da lui con un campione di sperma misto a pus che veni va da una donna impura con cui aveva giaciuto: guardandolo nel suo microscopio aveva visto strani animaletti e così, forse terrorizzato, forse eccitato per la possibile scoperta, era corso da uno dei più grandi microscopisti viventi per avere un opinione.
Leeuwenok prese e osservò il campione, e vide nel seme milioni e milioni di di animaletti che si muovevano. Per il bene della scienza, fece osservazioni prima del suo sperma, e poi di altre specie: e indipendentemente dall’origine, i campioni erano sempre popolati da “animalculi ”. Van Leeuwenhoek aveva appena scoperto gli animali del seme: letteralmente, gli spermatozoi.
Leewuenhoek scrisse una lettera in cui descriveva la sua scoperta alla Royal Society, stando bene attento a descrivere il tutto nella maniera più pudica possibile, per paura che la questione fosse giudicata indegna, irrispettosa o disgustosa. Non ci sono prove che la Royal Society pensasse qualcosa del genere: semplicemente, la trovarono una scoperta poco interessante, e passarono complessivamente quasi 2 anni prima che il resto del mondo fosse reso partecipe della scoperta.
Leeuwenhoek, nella lettera, scriveva, tra le altre cose, senza neppure l’ombra di una prova scientifica a proposito, che Aristotele aveva ragione: è soltanto lo sperma maschile a formare il feto e che l’unico contributo della femmina è il suo sostentamento.
Fortunatamente, in Olanda c’era gente più astuta ed istruita di Leewuenhoek.
Jan Swammerdam era un medico ed entomologo che, nel 1665, mentre Harvey pubblicava il suo De Generatione Animalium, stava lavorando su una sua grande opera sistematica di classificazione degli insetti. Swammerdam era acuto, paziente ed empiricista al pari di Harvey, e con un lavoro certosino e meticoloso, registrando migliaia di osservazioni, compiendo centinaia di dissezioni, pubblicò, dopo 1500 anni di Aristotelismo che prevedeva la generazione spontanea degli insetti, l’Historia Insectorium Generalis, che, tra le altre cose, si proponeva di dimostrare una volta per tutte che gli insetti nascono da uova deposte da femmine della medesima specie, nessuna eccezione.
Swammerdam era veramente rivoluzionario. Oltre alla classificazione e alla generazione, deponeva un re per ergere una regina: prima delle sue osservazioni, in oltre 6000 anni di convivenza con le api, l’opinione generale era che la gerarchia di un alveare avesse in cima un maschio, mentre tutte le operaie fossero femmine. Le sue dissezioni hanno mostrato a tutti che sul trono c’era una regina, dopo millenni in cui il patriarcalismo della società umana era stato proiettato ad ogni occasione sul resto della natura.
Swammerdam era anche un medico, però, e non si interessava solo di riproduzione di insetti: con uno dei suoi mentori, Van Horne, Swammerdam si mise a rovistare nelle ovaie di donne morte alla ricerca dell’uovo. Per cercare di convincere i propri detrattori, avevano persino bollito delle ovaie di vacca, mostrando come diventassero terribilmente simili a uova di gallina bollita. Con le unghie e con i denti, Swammerdam e Van Horne si stavano avvicinando alla risposta che Harvey non era riuscito a vedere.
Prima che potessero trovare qualcosa di sostanziale, però, accadde qualcosa che succede relativamente spesso nella storia della scienza. Un ‘altro brillante studente di medicina, amico di Swammerdam, ex allievo di Van Horne, in viaggio studio a Firenze, pubblica Elementorum Miologiae Specimen, un atlante di dissezioni. Il suo nome è Niels Stensen, meglio noto come Stenone o Steno (c’è tutta una storia di finti genitivi dietro).
Nel libro sono presenti anche una dissezione di un pesce cane e di una razza, con un commento. “ Avendo visto che i testicoli di animali contengono uova, e avendo visto che il loro utero apre nell’addome come un ovidotto, non ho alcun dubbio: i testicoli delle donne sono analoghi alle ovaie.
L’uovo di Pandora era improvvisamente aperto: era l’inizio di una feroce competizione per stabilire chi, per primo, avrebbe dimostrato l’esistenza delle uova nell’ovaio.
Van Horne, temendo che Stenone gli rubasse la priorità, pubblicò nel 1668 un breve riassunto del suo lavoro con Swammerdam. Non era niente di risolutivo, ma era necessario che ci fosse qualcosa con il suo nome pubblicato, per non rischiare di perdere l’eventuale priorità, mentre lavorava ad una pubblicazione più conclusiva. Sfortunatamente questa non vedrà mai la luce: Van Horne sarà tagliato fuori dalla corsa quando nel 1670 un epidemia di peste lo porterà via con sé.
Swammerdam pensava di avere via libera verso un trionfale successo , ma non sapeva che un nuovo rivale sarebbe arrivato sulla scena, un rivale dal suo passato.
Reinier de Graaf era stato un tempo studente assieme a Swammerdam, e sentendo indiscrezioni secondo le quali il suo ex-compagno era vicino alla conclusione delle sue ricerche, corse a pubblicare un breve riassunto del suo lavoro, in cui sosteneva che i “testicoli femminili “ formassero uova che diventavano mature grazie a fumi seminali che salivano dalla vagina attraverso le tube di Falloppio.
L’affronto era inaccettabile. Swammerdam passò immediatamente al contrattacco: nel 1671 pubblica una tavola con una dissezione anatomica di utero e ovaia. Nonostante nessuna delle pubblicazioni contenesse prove schiaccianti, i due da allora iniziarono ad essere apertamente in conflitto.
De Graaf sembra averla vinta quando l’anno seguente pubblica De Mulierum Organis Generationi Inservientibus Tractatus Novus, in cui una sezione sulla riproduzione dei conigli sembrava spazzare via ogni dubbio possibile sull’esistenza delle uova. Mostrava come nei conigli i follicoli ovarici si arrossavano e gonfiavano fino a scoppiare e, 3 giorni dopo la copula, si potevano trovare nuove strutture sferiche all’interno delle tube di falloppio, tante quante erano i follicoli esplosi. De Graaf, con una certa grazia e un certo desiderio di rivalsa nei confronti di Swammerdam, attribuì a Van Horne l’originale scoperta delle uova, attribuendosi solo il merito dell’inequivocabile prova.
Swammerdam non ci stava. Nel maggio del 1692 pubblica Miraculum Naturae, sive Uteri Muliebris Fabrica, in cui mostrava, attraverso dissezioni, come anche donne vergini avessero follicoli rotti. Ma la ragione ultima del libro stava nella sua appendice, dove Swammerdam criticava pesantemente De Graaf per la sua scelta di utilizzare “animali bruti” invece che l’uomo per le sue dissezioni, sosteneva che la qualità dei suoi disegni fosse pessima ma, soprattutto, che sebbene Van Horne fosse stato il primo a descrivere la dissezione completa di un ovaia, l’idea delle uova era stata sua. Tanto per gradire, Swammerdam mandò una copia del libro, con altri doni (un utero umano, e svariati testicoli) alla Royal Society, perché si convincessero che la priorità della scoperta era sua.
De Graaf non ci stava. Pubblico un libello pieno di bile Partium Genitalium Defensium , in cui accusava Swammerdam di plagi su plagi, negava di aver mai letto i libri di Steno sulle uova (nonostante avesse scritto il contrario in passato) e in generale invitava fortemente la Royal Society, a cui tra l’altro aveva raccomandato Van Leuweenhoek prima che fosse famoso, a riconoscere la sua priorità. Non poté mai ricevere risposta, perché morì nell’agosto del 1673, una settimana prima che un comitato della sempre celere Royal Society decidesse che la priorità della scoperta non apparteneva ne a Swammerdam, ne a Van Horne, ne a De Graaf, ma a Stenone, che intanto era diventato vescovo, e aveva abbandonato i suoi studi scientifici. La storia ha preso una strada diversa però, tanto che ora si parla di “ follicoli graafiani “.
De Graaf chiaramente si sbagliava, perché credeva che il follicolo fosse l’uovo, ma è anche vero che l’osservazione diretta dell’ovulazione umana è quasi impossibile. Tanto che la prima è avvenuta soltanto per caso, nel 2008, durante un’isterectomia. Nonostante gli errori e le limitazioni empiriche, quasi tutti nel 1678, mentre Leeuwenhoek cominciava a scrivere sulla monogenesi spermatica, credevano nell’esistenza dell’uovo femminile.
Swammerdam, in particolare, aveva osservato, anche prima che Leeuwenhoek pubblicasse i suoi disegni tramite Royal Society, degli “innumerevoli vermi nel seme di cane e di topo“ e stava cominciando a mettere insieme le due cose, verso una teoria della fecondazione.
Il grosso del lavoro era fatto, no ? Beh, in realtà, ci saranno ancora 150 anni di confusione. Per la prima osservazione diretta di un uovo bisognerà aspettare il 1857, e fino ad allora la maggior parte dei filosofi si dividerà tra spermista e ovista, attribuendo la totalità della riproduzione all’uno o all’altro gamete.
E io uso la parola gamete, ma è bene sottolineare che l’idea “moderna” di cellula, con il nucleo e i suoi organelli, comparì per la prima volta nel 1831: non avevano nessun motivo di credere che i gameti sessuali fossero equivalenti e complementari, e la teoria dell’eredità più in voga sosteneva che l’omuncolo (che piaceva agli spermisti, che ci vedevano degli omini negli spermatozoi) acquisiva una certa somiglianza alla madre perché cresceva nel suo utero.
Ad Harvey mancavano gli strumenti tecnologici, a Leeuwenhoek l’istruzione per interpretare; e all’umanità intera, per quasi 150 anni, gli strumenti concettuali.
La morale da trarre da questa storia non sono tanto gli aneddoti singolari e divertenti (che comunque vale la pena ricordare, vi garantisco che se saprete tirarle fuori al momento giusto vi renderanno l’anima della festa). La morale è che la storia di una scoperta è tanto degna di essere conosciuta quanto la rivoluzione scientifica che porta; gli errori, i ragionamenti inconcludenti, i vicoli ciechi sono spesso ben più istruttivi che una semplice lista di verità supposte.
Dietro a domande complesse spesso si nascondono risposte semplici, ma dietro a risposte semplici si nascondono sempre storie complesse.
Cobb, M. (2012). An Amazing 10 Years: The Discovery of Egg and Sperm in the 17th Century Reproduction in Domestic Animals, 47, 2-6 DOI: 10.1111/j.1439-0531.2012.02105.x
hai dei pupazzi a forma di sperma e ovulo?
E chi non li ha al giorno d’oggi ? Se li cerchi fanno parte della serie ” Giant Microbes “
hai dei pupazzi a forma di sperma e ovulo?
O mio Dio li devo avere
bellissimo articolo
Non si chiama Neils Stenson, ma STENSEN, ed è noto non come “Steno” (che è la versione latinizzata), ma come STENONE
Ho corretto il refuso Stenson-Stensen, ma Steno non è un tecnicamente un errore (Cioè sì, ma è consapevole). La forma latinizzata, quella con cui lui stesso si firmava),è Nicolaus Stenonis, ma per un errore di traduzione dal latino, dovuto al fatto che Stenonis sembra un genitivo, è passato alla storia in praticamente tutte le lingue (tranne italiano, francese e danese) come Steno (che sarebbe il nominativo se effettivamente Stenonis fosse un genitivo). Vedi anche qua:
http://www.archive.org/stream/cu31924012131458#page/n25/mode/2up