L’intelligenza degli insetti, o come le formiche hanno inventato il TCP/IP

Uno dei pregiudizi anti-insetto che più in assoluto odio è che gli insetti siano stupidi.

” Hanno un cervello microscopico, non sono veramente fighi ed intelligenti come noi con la nostra neocortex “.

Il cervello di una balena pesa 9 kg e ha approssimativamente 200 miliardi di neuroni. Un cervello umano pesa 1/1.5 kg ed ha circa 80-100 miliardi di neuroni; un’ape ha un cervello di un millimetro cubo, e meno di un milione di neuroni.

Questo è il genere di infinite forme bellissime che piacciono a Zombie Darwin.
Photocredits: c’è il watermark, non vedi ?

Direi che non ha molto senso usare le dimensioni del cervello per fare comparazioni di ordine cognitivo; se andiamo a vedere i comportamenti, è tutto un altro paio di maniche.

Gli insetti registrano migliaia di input sensoriali: hanno centinaia di occhi, odorano e toccano con le antenne, hanno peli su tutto il corpo che gli fanno sentire gli spostamenti d’aria. Gli insetti imparano, si creano mappe mentali dell’ambiente in cui si trovano, regolano il battito d’ali in base alla velocità del vento; le api hanno le loro danze che mai sono identiche; le formiche manipolano l’ambiente e altre specie a loro piacimento.

Tutti gli input e tutti gli output vengono processati attraverso un minuscolo sistema nervoso centrale. Gli insetti a seconda dell’etologo che li conta e della specie, hanno un numero di comportamenti distinti compreso tra 15 e 59 (A 59 ci arrivano gli animali sociali, come le api e le formiche). 

59 comportamenti per le api, che possono costruire tipi specifici di favi a seconda delle necessità, manipolare il polline, ingannare i nemici in combattimento, una quantità pressoché infinita di danze per comunicare, ripulire il nido, riscaldare i loro compagni (o le loro vittime) tramite vibrazioni; volare al di sopra di una zona e memorizzare tutte le informazioni salienti non solo per ritrovare la strada, ma per ritrasmetterla in giro.

Il cervello di un mammifero è milioni di volte più grosso di quello di un insetto, eppure, generalmente, i comportamenti che può intraprendere sono solo il doppio. La miniaturizzazione del cervello degli insetti è la dimostrazione che il loro sistema nervoso centrale è decisamente più ottimizzato di quello di un mammifero: lavorano di qualità, non di quantità.

E non è una cosa particolarmente sorprendente: C.Elegans è un nematode con 302 neuroni, eppure può imparare. La maggior parte dei sistemi cognitivi di base deve essere presente in tutti i vertebrati e gli invertebrati, perché se non ci fossero il sistema nervoso centrale sarebbe decisamente meno utile, specialmente considerato quello che consuma. Aumentare il numero di neuroni, o inventare nuovi tipi di neuroni, non aumenta le capacità cognitive. Sono i collegamenti fra differenti grovigli di neuroni che portano a comportamenti tangibili a fare la differenza, ed è tutto lì il vantaggio di avere un cervello grosso invece che miniaturizzato: la flessibilità. Ho appena ripetuto che non è la dimensione del cervello che conta, ma i collegamenti e i circuiti cerebrali, e questi non sono miniaturizzabili all’infinito. (Forse. Qualcuno ha scoperto che una microscopica vespa, Encarsia formosa, ha neuroni con assoni lunghi 0.05 µm. Il limite teorico inferiore al di sotto del quale un assone è troppo corto per funzionare, è 0.1 µm.)
Quello che sto cercando di dire, agitandomi in mille direzioni contemporaneamente come un naufrago che affoga, è stato in realtà già scritto dal Micheal Phelps dei biologi, Carletto Darwin:

It is certain that there may be extraordinary activity with an extremely small absolute mass of nervous matter; thus the wonderfully diversified instincts, mental powers, and affections of ants are notorious, yet their cerebral ganglia  are not so large as the quarter of a small pin’s head. Under this point of view, the brain of an ant is one of the most marvellous atoms of matter in the world, perhaps more so than the brain of man.

Dopo seicentotrentaparole, mio/a caro/a lettore/trice, ti starai ancora chiedendo, specialmente se hai qualche competenza informatica: ” Ma che cosa diavolo centra il TCP/IP ? “. Ci arrivo. Un momento che spiego il TCP/IP a naturalisti e biologi, che ne hanno bisogno.

TCP/IP sta per ” Transmission Control Protocol/Internet Protocol “. E’ stato inventato dal dipartimento della difesa statunitense, ma è immediatamente diventato lo standard per la gestione del movimento di dati su internet. Una piccola parabola per spiegare come funziona.

Mio nonno, da giovane, manda una lettera d’amore dal fronte a mia nonna. (E’ importante che l’analogia sia ambientata nel passato perché nel 2012 nessuno usa più la posta ordinaria.). Scrive una lettera piena di zuccheritudini, e la infila in una busta, prestando ben attenzione all’indirizzo del destinatario. La lettera viene spedita e, dopo un certo periodo di tempo (variabile, tendente a più infinito con le poste italiane) arriva alla destinataria, che subito risponde al nonnino per fargli sapere che ha ricevuto il messaggio ed ha apprezzato le zuccherositudini, che torna sempre attraverso la posta. Tanto più le strade sono libere dai nazisti, tanto più velocemente il postino porterà la risposta senza rimanere intralciato nei vari punti di controllo.

Mio nonno è il computer, le pucciosità scritte nella lettera i dati, la busta è il packet, l’indirizzo è l’IP, la risposta è l’acknowledgment, o ack. Quanto velocemente l’ack torna indietro dipende dal numero di nazi per strada nella metafora  (dalla quantità di banda disponibile se stiamo parlando di computer). Se la strada è piena di nazi (poca banda) ben pochi postini vorranno portare le lettere dei miei nonni (e la velocità di trasmissione sarà bassa). Se invece la strada è sgombra mentre le altre sono più pericolose, ecco che una masnada di postini vorrà andar lì, e non dalle altre parti, e la velocità di trasmissione sarà ottimale.

Ora, alle formiche. Pogonomyrmex barbatus è una formica del sudest degli stati uniti. E’ piuttosto grossa e piuttosto cattiva.

E’ anche molto efficiente.
Photocredits: Steve Jurvetson via Wiki commons

Una formica parte in una certa direzione alla ricerca di cibo. Non tornerà finché ha trovato qualcosa. Se fa jackpot, e trova una quantità abbondante di semi, tornerà molto alla svelta, e più formiche partiranno nella stessa direzione. Se la formica ci mette tanto a tornare, partiranno meno formiche in quella direzione o addirittura lasceranno perdere.

Non finisce qui.

Se i postini vengono catturati dai nazisti, ad un certo punto le poste centrali si svegliano, e smettono di trasmettere le lettere su quella strada. In informatica questo è il time-out: i packet partono ma gli ack non arrivano entro una certa quantità di tempo (time-out, no?); per evitare che tutte le lettere finiscano perdute, la trasmissione si blocca.

Se una formica non torna al nido entro venti minuti, nessun’altra ha il permesso di addentrarsi fuori. La prima cercatrice è fuori da troppo tempo: potrebbe essere perduta, morta, in mano ai nazisti.  Non è il caso di rischiare altre vite.

C’è un altro protocollo che le formiche imitano, che mi viene difficile spiegare con la metafora, e che quindi ho lasciato per ultimo. In gergo si chiama slow-start: un grosso numero di packets viene spedito insieme all’inizio verso il destinatario per determinare la larghezza di banda, e a seconda degli ack che tornano indietro, la velocità di trasmissione si aggiusta.

Allo stesso modo, per controllare la disponibilità di cibo in una zona, un gruppo nutrito di formiche viene inviato nello stesso posto, e a seconda della velocità a cui tornano al nido si aggiusta più precisamente la quantità di raccoglitrici da inviare.

Solo somiglianze superficiali, direte voi scettici.

Balaji Prabhakar, ovvero l’esperto di reti dell’università di Stanford che ha recentemente formalizzato queste somiglianze, non è sarebbe molto d’accordo con voi. Milioni di anni di tentativi alla cieca per aumentare la propria fitness tendono ad ottimizzare più o meno tutto, come sa chi lavora con gli algoritmi genetici. Prabhakar stesso dice che se avessimo saputo così nei dettagli come si comportavano le formiche negli anni 70, questo genere di design avrebbe potuto benissimo ispirare il TCP/IP.

Ci sono al mondo più di 11 mila specie soltanto di formiche, senza andare a prendere altri tipi di insetti sociali. Lavorano in ogni tipo di habitat, in ogni tipo possibile di rete ecologica, affrontando ogni tipo possibile di problema. Individualmente, ciascuna formica, o termite, o ape, è sufficientemente intelligente per mettere in pratica una serie di istruzioni complesse, ma la sua struttura nervosa non gli dà grossa flessibilità, il che implica che più meccaniche sono, meglio è.

Collettivamente, gli algoritmi che regolano il comportamento delle formiche devono essere scalabili, distribuibili, ed il più efficienti possibile. Sono una probabile miniera d’oro per soluzioni a problemi che neppure sappiamo ancora di avere.

Sarebbe estremamente stupido non imparare dall’intelligenza degli insetti.

  1. ….strappa applausi, bravo!

  2. Distribuited computing 😀

  3. “Sono una probabile miniera d’oro per soluzioni a problemi che neppure sappiamo ancora di avere” Beh qualcosa si è fatto: http://en.wikipedia.org/wiki/Particle_swarm_optimization, http://en.wikipedia.org/wiki/Swarm_intelligence

  4. na strunzata

  5. Chiara T.

    ciao, sarei interessata a leggere il paper in versione integrale, mi chiedevo se per caso ne fossi in possesso e se potessi passarmelo. In calce dovrebbe esserci la mia mail, scrivimi, se ti è possibile!

  6. potresti inviare il paper anche a me? grazie mille!!!

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