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Questa non è una farfalla

Caligo Atreus e crisopidi che non sono farfalle

immagine composita dalla fig 1 del paper con crisopidi fossili e dalla foto di Caligo atreus di Lorenzo Magnis, rilasciata in licenza CC-BY-NC-SA https://www.flickr.com/photos/lorenzo-l-m/

Ceci n’est pas un papillion.

Cioè, un momento. Quella sulla sinistra sì, è una farfalla civetta. Ma i fossili sulla destra? Quelle non sono farfalle, sono cose farfallose 80 milioni di anni prima che esistessero le farfalle.

Confusi? Mannò, dai, è solo evoluzione convergente, anche se a livelli che sfiorano l’incredibile.

Circa 165 milioni di anni fa, nel giurassico, quei cosi sulla destra, crisopidi kalligrammatidi, svolazzavano in giro, impollinavano fiori e ciucciavano nettare. Ma i crisopidi non sono farfalle: il loro antenato comune più vicino viveva tipo 300 milioni di anni fa. Se googlate crisopidi, anche se il nome non vi dice niente, sono sicuro che li avete visti in giro nella vostra vita. 300 milioni di anni significa che sono due lignaggi evolutivi separati quanto Homo sapiens e il rospo comune.
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Sul Whiffy Wheat

Il “whiffy wheat”, il grano odoroso, doveva essere la prima pianta geneticamente modificata per rilasciare un feromone come forma di difesa. Il risultato delle prime prove su campo, condotte dall’Istituto di Rothamsted, il più antico centro di ricerca agronomica pubblico del mondo, è però negativo.
L’idea dietro il Whiffy Wheat è teoricamente semplice. Gli afidi del grano causano 120 milioni di sterline di danni ogni anno nel regno unito. La tecnica più efficiente per contenere questi danni è la lotta integrata, ovvero l’utilizzo di predatori naturali e insetti benefici per tenere lontano gli afidi, ma è difficilmente scalabile su scala industriale che si usa per coltivare il grano nella stragrande maggioranza dei casi. E quindi si usano montagne di insetticidi.

Quella tra insetti e piante è da sempre una storia di co-evoluzione; per questo motivo molte piante hanno “imparato” a manipolare segnali chimici per attrarre o repellere determinati insetti. In questo caso, i ricercatori hanno preso un gene dalla Menta piperita, che sintetizza un terpenoide, un composto aromatico che repelle diverse specie di afidi e attira vespe parassitoidi che depongono le loro uova negli afidi, uccidendoli. Si può, volendo, vederlo come una forma di sistema immunitario subappaltato tramite simbiosi.
I test in laboratorio sono stati molto positivi su tutte e tre le principali specie di afidi dannose, ma il risultato non è stato replicato in campo aperto, con nessuna differenza significativa di resistenza agli afidi tra il grano modificato e la versione commerciale originale.

Per quale motivo? Non è ancora del tutto chiaro, ma gli autori hanno un’ipotesi alquanto plausibile, che ha a che fare con il rilascio del feromone. Normalmente i feromoni e gli altri segnali chimici vengono rilasciati sottoforma di picco: gli afidi ne rilasciano molto quando sono attaccati da vespe parassitoidi, la menta li rilascia quando è danneggiata dagli afidi. Ma il Whiffy Wheat rilascia il feromone ad un livello basso ma costante; ed è probabile che dopo un breve periodo gli afidi si siano adattati a ignorare questo livello come fosse rumore di fondo. Per quanto sulla carta la tecnica sia molto promettente, e dovrebbe ridurre la probabilità di una rapida evoluzione di resistenza, questo specifico esperimento è da rivedere completamente.

Sono due le cose che, secondo me, escono come più interessanti da questo studio: la prima è la capacità degli afidi di abituarsi nel giro di una generazione al rumore di fondo. Non è esattamente un’evoluzione di una resistenza, che richiederebbe cambiamenti genetici e più tempo, ma una sorta di comportamento imparato semplicemente crescendo in un ambiente dove il feromone è costantemente presente.
La seconda è una considerazione di natura sociale. La ricerca in questione era totalmente pubblica: gestita da enti pubblici nel regno unito e finanziata con i soldi dei contribuenti. E molti attivisti anti-OGM stanno strumentalizzando questo risultato negativo (che di per sé non sarebbe un fallimento, perché sapere cosa non funziona è tanto importante quanto sapere cosa funziona) per attacare in toto l’idea dei finanziamenti pubblici alla ricerca sugli OGM. Esemplare in questo senso le dichiarazioni di Liz O’Neill, presidente di GM Freeze, una associazione inglese che aveva protestato negli ultimi 2 anni contro questo esperimento, alla BBC:

“The waste of over £1m of public funding on a trial confirms the simple fact that when GM tries to outwit nature, nature adapts in response.”

Questo, di per sé, non sarebbe particolarmente interessante: ogni scusa è sempre buona per tirare acqua al proprio mulino. Diventa però interessante quando alle sue dichiarazioni aggiungiamo questa piccola postilla, riportata su Nature:

” The protests did not disrupt the research, but making the site secure added around £1.8 million (US$2.8 million) to the study’s research cost of £732,000. “

Ovvero: la ricerca è costata 3 volte tanto per via dei tentati sabotaggi del campo da parte dello stesso gruppo che si lamenta del costo della ricerca.
Creare un problema e usare quel medesimo problema come argomentazione contro qualcosa a cui ci si oppone ideologicamente non è una cosa nuova, ma in questo caso è particolarmente sfacciato.
Un po’ come se ci si opponesse strenuamente alla ricerca pubblica sugli OGM perché non ci si fida delle ricerche promosse da grandi colossi commerciali.

ResearchBlogging.org Bruce TJ, Aradottir GI, Smart LE, Martin JL, Caulfield JC, Doherty A, Sparks CA, Woodcock CM, Birkett MA, Napier JA, Jones HD, & Pickett JA (2015). The first crop plant genetically engineered to release an insect pheromone for defence. Scientific reports, 5 PMID: 26108150

Perché esistono così tanti fiori ?

Arriva San Valentino, e come spesso succede, orde di amanti razziano campi e fioristi alla ricerca dell’organo riproduttore più adatto da regalare alla propria/o bella/o.  Nel mondo occidentale, la scelta ricade tipicamente sulla rosa rossa, che in questi giorni viene pagata a peso d’oro, ma la scelta potrebbe essere, almeno in teoria, ben più varia. Si stima che esistano circa 350 mila specie di angiosperme, cioè piante con fiore, al mondo.

Certo, potete regalare alla vostra morosa un mazzo di rose, ma quanto sareste più cool regalando un fiore di  Hydnora africana ?

Hydnora è un genere di piante parassite. Quello che vedete sporgere, tipo mano a tenaglia di un lego, è il fiore; intorno, nere, sono le radici marcescenti della pianta a cui il fiore sta lentamente succhiando la vita. Una perfetta descrizione della vita di coppia.

Hydnora è un genere di piante parassite. Quello che vedete sporgere, tipo mano a tenaglia di un lego, è il fiore; intorno, nere, sono le radici marcescenti della pianta a cui il fiore sta lentamente succhiando la vita. Una perfetta descrizione della vita di coppia. Photocredits: D.L. Nickren, Southern Illinois University

Perché esistono così tanti fiori? Beh, l’idea di base è semplice: la teoria dell’evoluzione, già dai tempi di Darwin, prevede che la pianta, non potendosi muovere, scelga un il particolare impollinatore da attirare perché possa trasportare il suo polline ad un altro fiore. Più il fiore è specifico e strano, più attirerà una specifica e strana specie di impollinatore, ed eviterà il rischio di ricevere polline di specie con cui non ha intenzione di incrociarsi. E’ il cambiamento da un impollinatore all’altro che causa i più massicci cambiamenti nella morfologia e nella struttura del fiore, che si sforza di isolarsi riproduttivamente dai suoi cugini più stretti.

” Hey, è proprio una bella ipotesi. Sarebbe anche bello se avessi qualche prova a sostegno, mate. ” ( Non so perché, ma quando mi immagino lo scettico di turno che viene a rompere le uova nel paniere ha un marcato accento Cockney )

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Le api e il sesso (ma niente fiori)

Il caro Alberto mi scrive:

Cara Prosopopea,
visto che ami gli insetti e l’ape è un insetto figo volevo porti questo spunto di possibile articolo/spiegone: Ho scoperto oggi che il fuco nasce da un uovo non fecondato per cui ha un corredo aploide, diciamo n. Sua sorella futura regina ha un corredo diploide 2n (frutto dell’unione fra regina madre e vecchio fuco). Quindi se la vecchia regina si accoppiasse con suo figlio creerebbe un clone di se stessa?

Avendo promesso di risponderti, e avendo un po’ di ritardo rispetto a questa promessa, ho deciso di darti 2 risposte, un pochettino diverse, in mezzo ad un po’ di contesto e spiegoneria.

La prima risposta, quella breve, è no.

La seconda risposta è un pochettino più complicata, e la dividiamo in 3 parti: Quando, Perché e Come.

Negli esseri umani il sesso è determinato dalla presenza o l’assenza dei cromosomi X e Y, come certamente sapete. Gli imenotteri, il gruppo di insetti che include api, vespe e formiche funziona in maniera differente, ma ciò non toglie che un sacco di cose che sappiamo sulla determinazione del sesso, storicamente parlando, viene dagli insetti.

Partiamo quindi dal Quando. (Alberto caro, se non volevi il pippotto storico ti conveniva chiedere ad altri.)

Nel 1845 un prete cattolico, Johann Dzeirzon, si rende conto che se durante il volo nuziale l’ape regina resta vergine la sua progenie contiene solo maschi. Evidentemente era particolarmente recettivo all’idea di immacolata concezione. Può sembrare una osservazione da poco o poco interessante, ma tenete presente che si tratta del primo metodo di determinazione del sesso trovato empiricamente. Del resto, l’idea imperante all’epoca era ancora quella di Aristotele, secondo la quale il sesso del nascituro dipendeva dalla temperatura dello sperma paterno. L’idea è quasi giusta per certi rettili, ma veniva indiscriminatamente applicata a ogni animale, uomo incluso. Tieni anche presente che questa osservazione arriva almeno 50 anni prima della scoperta dei cromosomi sessuali, prima della scoperta dei cromosomi in generale, e prima che fosse chiaro in alcun senso il collegamento tra quegli strani bastoncelli che si coloravano e l’ eredità genetica.

Dzierzon in un ritratto del 1901. Questo padre dell’agricoltura moderna era un piantagrane non da poco, e per via del suo coinvolgimento in politica, del suo rifiuto dell’infallibilità papale e della sua scoperta della partenogenesi nelle api (che a quanto pare non piaceva alla chiesa) fu scomunicato nel 1873.

Dal momento che, come ho accennato altre volte, fissare i cromosomi su un vetrino era un bel casino perché ci volevano tante cellule in divisione, gli animali con un ciclo vitale veloce erano preferiti. Cosi’, mentre qualcuno si focalizzava sui girini di anfibi vari o vermi piatti, un biologo tedesco di nome Hermann Henking si mise nel 1880 a lavorare con le vespe. Con il suo primitivo microscopio ottico si rese conto che negli spermi di vespa ogni tanto ci sono 12 cromosomi invece di 11. Seguendo una antica tradizione,dal momento che non riusciva a capire bene che cosa fosse questo cromosoma estraneo, decise di battezzarlo fattore X. Il tuo cromosoma X si chiama X, caro Alberto, per merito (colpa?) delle vespe di Henking.

Il cromosoma X non è a forma di X più di qualsiasi altro cromosoma, per quanto un sacco di gente sia convinta che il nome venga dalla forma. Photocredits: Winona State University, winona.edu

Henking per la verità intuì subito che quel cromosoma extra poteva avere a che fare con il sesso, ma per confermare la sua idea si mise a caccia di un equivalente fattore X nei grilli. Purtroppo per lui, sebbene nel 20% delle specie animali la determinazione del sesso funziona come le vespe i grilli utilizzano un altro sistema, e la sua ricerca si rivelo’ infruttuosa.

Agli inizi del ‘900, però, la sua intuizione fu confermata e l’X trovato in molte altre specie, uomo e api incluse. Sapendo che tutte le api operaie erano femmine e sorelle, i maschi nascevano senza che la madre si accoppiasse, e che c’era di mezzo il fattore X, si dedusse infine che le api (e le vespe e le formiche) determinavano il loro sesso per aplodiploidia.

Mentre nell’essere umano, indipendentemente dal sesso, tutti hanno due copie dei  cromosomi non sessuali (altrimenti detti autosomi), nelle api hai bisogno di due copie di tutto per essere femmina, mentre se ne hai una sola sarai solo un fuco.

Il che da’ origine a tutta una serie di paradossi per chi e’ abituato ai nostri standard di genealogia. Un fuco non ha un padre (perché se lo avesse sarebbe femmina), ma ha un nonno (perché sua Nonna, la regina madre, si e’ dovuta accoppiare con un maschio per generare mamma), e a sua volta non avrà mai figli maschi (se si accoppia tutto quello che feconda diventerà femmina, e con le uova non fecondate, che diventano maschi, non avrà mai a che fare), ma potrà avere nipoti maschi.

Ma, nonostante ciò, caro Alberto, un fuco non è un clone di sua madre, ne del nonno. Un clone, come due gemelli omozigoti, ha esattamente lo stesso genoma della sua sorgente. Quando l’ape regina fa le sue uova, le fa comunque per meiosi, e durante questa divisione i cromosomi si ricombinano e mischiano con il crossing over. Quindi un fuco sarà un po’ sua madre e un po’ suo nonno, ma mai un clone dei due.

Questo è l’endofallo del fuco, rivoltato come un guanto da un bravo apicoltore che ne vuol cogliere lo sperma ben indicato nella foto. Non c’entra con il discorso al momento ma ci tenevo che lo vedessi, caro Alberto. Photocredits: UC Davis Department of Entomology

Per rispondere specificamente alla tua domanda, se la regina madre si accoppia con suo figlio, maschio aploide, succede questo.
Il gamete maschile, aploide, contiene i geni della regina madre, ma ricombinati tra le due copie (che vengono da sua mamma e da suo nonno) quando la regina madre ha fatto per meiosi l’uova del fuco futuro marito.
L’uovo della regina contiene anch’esso i geni della regina madre, ma ricombinati anch’essi non solo tra loro per meiosi, ma anche con i geni del fuco, che i realtà sono i geni di mamma e nonna.
Se la cosa va avanti per tante generazioni diventa un problema, come al solito negli incroci tra consanguinei, ma le varie ricombinazioni omologhe impediscono che si arrivi ad un clone.  (Ti farà però piacer sapere che ci sono specie in cui può avverarsi il tuo scenario, con generazione di cloni: la madre deve essere però aploide. Succede, ad esempio, in certi afidi)

Anzi, a dirla tutta, l’ape regina è più imparentata con le sue sorelle che con le sue figlie , e qui si passa al perchè il sesso delle api funziona cosi, e ciò addirittura si collega al perché le api hanno una regina e una gerarchia tutta strana.

Darwin nell’Origine delle Specie scrive una di quelle cose che ai Creazionisti piace citare a sproposito fuori dal contesto:

I […] confine myself to one special difficulty, which atfirst appeared to me insuperable, and actually fatal to my whole theory. I allude to the neuters or sterile females in insect-communities:  for these neuters often differ widely in instinct and in structure from both the males and fertile females, and yet, from being sterile, they cannot propagate their kind.

Mi limito ad una particolare difficoltà, che all’inizio mi sembrava insuperabile, e a dire il vero fatale per la mia intera teoria. Alludo alle formiche operaie o sterili: poiché queste sono differenti nella struttura sia dai maschi che dalle femmine fertili, eppure, essendo sterili, non possono propagare i loro caratteri.

” Ohibo’ ! Le api distruggono la Teoria dell’evoluzione ” dice a questo punto il creazionista sprovveduto, dimenticandosi “”‘misteriosamente”””  di leggere i paragrafi successivi, in cui Darwin propone la sua soluzione, di cui metto un estratto piccino picciò considerato che Carletto è un poco verboso:

It will indeed be thought that I have an overweening confidence in the principle of natural selection, when I do not admit that such wonderful and well established facts at once annihilate my theory. In the simpler case of neuter insects all of one caste or of the same kind, which have been rendered by natural selection, as I believe to be quite possible, different from the fertile males and females, in this case, we may safely conclude from the analogy of ordinary variations, that each successive, slight, profitable modification did not probably at first appear in all the individual neuters in the same nest, but in a few alone; and that by the long-continued selection of the fertile parents which produced most neuters with the
profitable modification, all the neuters ultimately came to have the desired character.

Si penserà che ho una fiducia smisurata nel principio della selezione naturale vedendo che mi rifiuto di ammettere che tali meravigliosi e ben noti fatti distruggono completamente la mia teoria. Nel caso più semplice di insetti sterili della stessa casta o dello stesso tipo, che devono essere stati resi differenti dai maschi e dalle femmine fertili, come io credo, dalla selezione naturale, possiamo dire per analogia con gli altri tipi di variazioni che ciascuna modifica successiva, leggermente favorevole non è apparsa in tutti gli individui sterili in un singolo nido, ma solo in pochi; e per lunga e continua selezione dei genitori fertili che producevano più figli sterili con le modificazioni profittevoli, tutti gli sterili alla fine hanno sviluppato il carattere desiderato.

(Capitolo 7, Istinto)

Darwin in realtà, come spesso succede, si sbaglia nei dettagli, ma l’intuizione giusta di fondo c’è.

Le api operaie non sono sterili, e anzi ogni tanto depositano di nascosto qualche uovo. Per fortuna, però, il servizio di sicurezza interno funziona quasi sempre perfettamente, la larva viene cannibalizzata e la femmina uccisa per il suo crimine. Per il bene di tutti.

Le api sono animali eusociali: cioè formano vere società con gerarchie, caste, generazioni che convivono tra loro e altruismo.

Altruismo che funziona ed esiste perché i geni delle api sono egoisti.

L’idea si basa sulla teoria della Fitness inclusiva di W.D Hamilton, resa celebre da Dawkins nel libro che ho namedroppato prima.

La fitness, in gergo evolutivo, e’ la misura ideale di quanto un organismo è adatto al suo ambiente. siccome questa è una cosa difficile da misurare, anche perché include un sacco di idee abbastanza astratte, come surrogato per stimare la fitness si guarda a quanta prole ha una coppia. Se hai piu’ figli che sopravvivono meglio e competono con piu’ successo significa che i tuoi geni saranno sparsi in giro di piu’, cioè, in un certo senso, sei piu’ adatto al tuo ambiente.

Se guardiamo a questa idea pensando agli individui, però, non ha senso quello che fanno le api. Perché io, ape operaia, dovrei sopportare il fatto che le altre mi cannibalizzino i figli, mentre la regina fa uova ovunque?  Non sarebbe meglio una rivoluzione operaia che permetta alle sorelle di diventare proletarie?

La ragione per cui la risposta è no sta nell’aplodiploidia, nei maschi senza padre di cui abbiamo parlato prima, ma il segreto sta nel guardare la situazione come se fossimo geni che vogliono dominare il mondo.

Tu, caro Alberto, condividi circa il 50% dei geni con i tuoi genitori e con i tuoi eventuali fratelli e sorelle. Ma tu sei diploide.

L’ape regina, come tua madre, passa il 50% dei geni alle sue figlie (l’altra metà sarà del fuco). Ma, dal momento che la mamma della regina e’ diploide, ma il papà ha solo la metà dei cromosomi, condivide con le sue sorelle il 75% dei geni. Cioè, a dirla in un altro modo, è piu’ imparentata con le sorelle che con le figlie.

Diciamo ora che sei un gene egoista. A te non frega nulla degli altri geni, o dei desideri di maternità dell’ape operaia: vuoi solo diffonderti il piu’ possibile nella popolazione, vuoi essere in tutte le generazioni future.

Hai due strategie. Se sei egoista ma un po’ scemo, allora cercherai di costringere il tuo organismo a fare piu’ figlie possibili. Ogni volta hai il 50% di probabilità che una copia di te ci sia nel nuovo individuo.

Se invece sei piu’ furbo, sfrutterai il fatto che c’è già il 75% di probabilità che una tua copia sia nelle tue sorelle, e quindi, per conquistare il mondo il tuo piano sarà di far fare piu’ figli possibili a tua madre, e impedire che tua sorella faccia dei nipotini .

Questo piano diabolico massimizza la Fitness Inclusiva, cioè non solo il tuo egocentrico ed individuale successo riproduttivo, ma anche il successo riproduttivo degli altri che condividono gli stessi geni. Dall’egoistica voglia di autopropagazione dei geni nasce un sistema in cui, altruisticamente, le api dedicano la loro vita al supporto della famiglia.

Ad esempio cannibalizzando le larve nei momenti di scarsità di cibo. Ah, il cannibalismo, pilastro della civiltà.

Come avrai già intuito, caro Alberto, questo sistema può evolversi  a due condizioni. La prima è che la mamma regina non metta le corna al papà. E, nella maggior parte delle specie, l’ape regina durante il suo volo nuziale non solo si accoppia con un solo fuco, ma lo sperma di cui fa incetta viene conservato n organi appositi per tutta la vita, garantendo l’egual grado di parentela di tutte le api operaie.
L’altra condizione è che i maschi siano prodotti solo per partenogenesi e non possano sabotare l’equilibrio 75%-50% di geni in comune.

Il che è un po’ più un problema.

Ti devo fare una confessione, caro Alberto. Prima, quando ti dicevo che i maschi sono aploidi, non ti ho mentito, ma ho fatto qualcosa di necessario per quanto riprovevole: ho semplificato le cose. Perché per quanto questa sia la risposta un po’ piu’ complicata di quella breve, la realtà è ancora un po’ più complicata.

Quando ho parlato dell’aplodiploidia ho momentaneamente glissato sul come. Perché avere la metà dei cromosomi ti fa diventare maschio? In fondo hai tutto quello che serve per fare una femmina, solo che in singola invece che in duplice copia. Perché non ci dovrebbero essere maschi diploidi?

Ci sono maschi diploidi. Saltano fuori, ogni tanto, nelle linee pure degli apicoltori. Far incrociare di continuo gente strettamente imparentata fa sempre saltare fuori roba interessante.

Il maschio diploide salta fuori da un uovo fertilizzato, il che significa che ha un papà, oltre che una mamma. Avrà una copia di ciascun cromosoma dalla regina, e una dal fuco.Contando semplicemente i cromosomi dovrebbe essere una femmina, ma abbiamo un maschio fatto e finito con un endofallo che aspetta solo di essere rivoltato. I cromosomi ci hanno tradito: non sono direttamente loro a decidere il sesso. Siam caduti in una trappola, dando per scontato che le due cose erano l’una causa dell’altro, quando invece la situazione era un po’ più complicata. Dal momento che la comparsa di maschi diploidi era legata all’endogamia, i ricercatori intuirono che c’era di mezzo uno specifico che locus poteva essere in due stati, e, a seconda della sua condizione, determinava il sesso.
La dominanza e la recessività, in questo caso, non c’entrano. Quello che conta è l’eterozigosi o l’omozigosi, ossia avere due o differenti copie uguali su i due cromosomi omologhi. L’ipotesi era semplice: se sei un maschio, hai soltanto una copia del gene, e quindi sei per forza omozigote, e ti svilupperai in un maschio. Un uovo fecondato, invece, ha due copie del gene determinante il sesso: se sono differenti, diventi una femminuccia. Se sono uguali, diventi un maschietto. Sempre che non muori prima. Perché, non a caso, avere due copie del gene identiche è embrioletale per lo sfortunato maschio in fieri, a meno che non ci sia una qualche mutazione che mascheri l’effetto. In quel caso, può nascere un maschio diploide. Che, poco dopo la nascita, sarà cannibalizzato dalle altre operaie. Come si evolvono questi meccanismi molecolari e come cambiano nel tempo è una questione interessante, che però terremo per un’altra volta visto che questo articolo è già abbastanza massiccio.

La stretta somiglianza genetica fra generazioni a cui fai riferimento nella tua domanda, caro Alberto, è il collante che ha permesso l’evoluzione particolare della società delle api. E’ difficile mettersi nei panni dei geni egoisti che promuovono l’altruismo, ma la cosa bella è come una volta indossati quegli occhiali tutto comincia ad essere più chiaro, e i pezzi del puzzle ad incastrarsi. Non perfettamente, certo, perché ci sono ancora vagonate di roba da scoprire sull’evoluzione dell’eusocialità, ma abbastanza perché il cervello faccia “click”, quel click che dà il gusto di capire le cose.

Tranne il cannibalismo. Il cannibalismo proprio non lo capisco.

Brown SJ (2003). Entomological contributions to genetics: studies on insect germ cells linked genes to chromosomes and chromosomes to mendelian inheritance. Archives of insect biochemistry and physiology, 53 (3), 115-8 PMID: 12811764

Mackensen O (1951). Viability and Sex Determination in the Honey Bee (Apis Mellifera L.). Genetics, 36 (5), 500-9 PMID: 17247362

Come la genetica quasi ammazzò Darwin

Oggi a pranzo è saltato fuori un discorso particolare. Stavo avvertendo altri biologi della conferenza di mercoledì di Massimo Pigliucci con lo stesso distacco emotivo con cui una dodicenne parla di un imminente concerto di Justin Beiber, con tanto di squee e polso accelerato. Sebbene la platea mi fosse favorevole, almeno rispetto allo standard delle persone su cui vomito saccenza, il messaggio non mi sembrava accolto con particolare entusiasmo. Più che altro perché gli infedeli in questione non sembravano sapere chi fosse Pigliucci.

Quel gran figo di Massimo Pigliucci. Vi avviso, tutte le foto nell’articolo resto dell’articolo riguardano biologi, funzioni matematiche o insetti.

“Ma dai, è uno di quelli della sintesi estesa!” Esclamo, con quel tono che sembra voler dire “la tua ignoranza è sconvolgente”, ma che in realtà vuol sottointendere “ti compatisco”. Perché mi piace farmi amica la gente.

Così sto saccentando spiegando qua e là che cosa vuol dire sintesi estesa, quando una brillante osservazione arriva da uno dei miei interlocutori: “sintesi estesa” è, a guardarlo bene, un ossimoro. E non ci avevo mai fatto caso, una di quelle cose che si nascondono in
piena vista.

Ovviamente ossimoro non lo è poi di fatto, perché sintesi estesa si rifà nel nome alla ben più famosa sintesi moderna, quel famoso neodarwinismo degli anni 40… come sintesi di che? Non avete fatto un esame di storia della biologia? Come no? Ah invece tu si e comunque non hai idea di cosa sto parlando? Beh ma la insegnano proprio a cazzo…

In realtà sto millantando, perché non sono neanche eccessivamente sicuro di quello che sto per dire, ma se non trovo una risposta plausibile al “sintesi de che?”, Ci faccio una pessima figura.

Via, spariamola. “Eh, la sintesi moderna perché mette insieme Darwinismo e Mendel, perché non so se lo sai, ma fino agli anni venti molta gente era convinta che Mendel confutasse Darwin, la sintesi moderna ha riconciliato le due cose. ”

” Che cosa che cosa? ” occhi sgranati e sopracciglia aggrottate. ” come dovrebbe fare Mendel a confutare Darwin? “. Phew, li hai dirottati su un argomento di cui sai la risposta con certezza. E giù di prosopopea.

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Coralli, Cavoli e Cugini: come ti subappalto il sistema immunitario

Se volessimo badare al consenso attuale della comunità scientifica internazionale, sebbene quasi tutti gli organismi viventi abbiano qualche tipo di risposta fisiologica contro le invasioni tramite un  sistema immunitario, dovremmo credere che solo i vertebrati hanno la cosiddetta risposta immunitaria adattativa.

Un organismo di qualsiasi dimensione e complessità è esposto in ogni momento di ogni giorno a decine di migliaia di molecole estranee. Solo nel vostro ombelico ci sono qualcosa come 2200 specie diverse di batteri, ognuno con le sue abitudini e le sue secrezioni. Il sistema immunitario deve capire quali molecole sono da fermare, e quali non lo sono.

Il sistema immunitario innato è il primo che entra in azione. Non è specifico, però. La risposta è sempre la stessa, e quello che viene riconosciuto è il genere di invasore o molecola estranea. Esempio illuminante: le ostriche.

Nonostante quello che vi possa aver detto il vostro gioielliere (o le stronzate di cui è pieno internet), la formazione delle perle non ha niente a che vedere con i granellini di sabbia. Hanno a che vedere con una cosa molto più awesome: parassiti. Photocredits: Wildcharm.net

La perla è il prodotto di un verme morto. Trematodi e nematodi perforano la carne molliccia del mollusco, mirando a manipolarlo per essere mangiati da altri ospiti, come uccelli marini. Ma, l’ostrica ha il suo sistema immunitario innato, che attacca il verme soffocandolo in strati su strati di madreperla, la stessa sostanza a base di calcio che tappezza la sua conchiglia. Il verme muore, e può essere appeso a colli e orecchini nella sua prigione eterna.

Le perle più ricercate hanno vermi piccini e tanta madreperla. Ma l’ostrica reagisce anche se viene attaccata da copepodi o piccoli pesci esattamente nello stesso modo, e può ugualmente produrre perle (più bruttine tendenzialmente). Morale della storia ? Il  sistema innato crea una perla, cioè ha una risposta immune, che è uguale indipendentemente da chi sta attaccando.
L’immunità adattativa o specifica sembra essersi evoluta negli gnatostomi, cioè i primi pesci con le mascelle, qualcosa come 410 milioni di anni fa. Questa risposta è più lenta, ma per un motivo: è creata su misura per sconfiggere lo specifico invasore. La risposta è specifica perché il riconoscimento è specifico: il vostro sistema immunitario reagisce in maniera diversa nei confronti di roba pericolosa che ha già incontrato prima; ed è perché abbiamo il lusso di un’immunità adattativa che i vaccini, ad esempio, possono funzionare.

Nonostante il nostro eccessivo vertebrocentrismo, e il consenso della maggioranza della comunità scientifica internazionale, questo dono speciale non è poi così speciale. Gli invertebrati hanno quasi certamente una qualche forma di risposta adattativa, e lentamente si stanno accumulando prove per dimostrarlo. Si è solo evoluta indipendentemente da quella dei vertebrati, e quindi è analoga come funzione, ma non come meccanismi.

Ma certamente le piante e gli altri organismi sessili non possono avere un sistema immunitario adattativo. Non hanno cellule che pattugliano il loro organismo alla ricerca di invasori! Non possono neppure muoversi! Non possono avere immunità specifica…

A meno che qualcuno non si muova e faccia il lavoro sporco per loro.

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L’intelligenza degli insetti, o come le formiche hanno inventato il TCP/IP

Uno dei pregiudizi anti-insetto che più in assoluto odio è che gli insetti siano stupidi.

” Hanno un cervello microscopico, non sono veramente fighi ed intelligenti come noi con la nostra neocortex “.

Il cervello di una balena pesa 9 kg e ha approssimativamente 200 miliardi di neuroni. Un cervello umano pesa 1/1.5 kg ed ha circa 80-100 miliardi di neuroni; un’ape ha un cervello di un millimetro cubo, e meno di un milione di neuroni.

Questo è il genere di infinite forme bellissime che piacciono a Zombie Darwin.
Photocredits: c’è il watermark, non vedi ?

Direi che non ha molto senso usare le dimensioni del cervello per fare comparazioni di ordine cognitivo; se andiamo a vedere i comportamenti, è tutto un altro paio di maniche.

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Perché gli insetti sono così piccoli?

Per quanto gli entomofobi possano non essere d’accordo, gli insetti sono creature piuttosto piccole.

Ma non è sempre stato così. Prendiamo l’esempio più comune e lampante, un membro del genus Meganeura:

Le libellule sono insetti relativamente grossi anche ora, ma Meganeura, anche se da questa immagine non si riesce a capire bene la proporzione, aveva un apertura alare di approssimativamente 60 centimetri. Photo credits: Hcrepin via wiki commons.

Per quanto esistano ancora adesso libellule piuttosto grosse, e sicuramente stupende, la più grande libellula vivente, Megaloprepus coerulatus, è molto più piccola.

Questa libellula, indigena del centro e sud america, ha soltanto 19 centimetri di apertura alare. In confronto a Meganeura è praticamente un pigmeo. Photocredits: Roy J. Beckermeyer via WindsOfKansas

C’è una spiegazione tradizionale di questo fatto, che ha a che fare con i livelli di ossigeno atmosferici. La spiegazione tradizionale è, però, probabilmente sbagliata.

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Perché la pioggia non stermina le zanzare

Mantenendo quella che al peggio potrebbe persino essere una tradizione dopo “Le zanzare e l’arte della guerra” dello scorso anno, con l’inesorabile approssimarsi della stagione estiva Prosopopea si dedica nuovamente alla più sadica tra tutte le succhiasangue: la temibile zanzara.

Uno dei metodi più soddisfacenti per eliminare quelle che per noi sono semplici scocciatrici, ma nelle zone tropicali del mondo sono ancora letteralmente vettori di morte, è il brutale, diretto, trauma fisico. Silenziare per sempre il ronzio di una di queste bestie è relativamente semplice, considerato il “piccolo” vantaggio che ci conferisce essere leggermente più grande di una zanzara.

Un virtuoso dell’anofelicidio potrebbe persino immaginarsi un dispositivo degno di Wil.E. Coyote, per spappolare l’odiato insetto al di sotto di incudini volanti. Sfortunatamente, ma non sorprendentemente, essendo un piano sponsorizzato ACME, una cosa del genere non funzionerebbe.

I’m stinging in the rain, just stinging in the rain…

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Come subappaltare il tuo sistema digerente (se sei una pianta carnivora)

Se leggete questo blog da più di 15 secondi, probabilmente vi sarete resi conto che i vari tipi di simbiosi, parassitismo incluso, oltre ad essere semplicemente sorprendenti, sono uno dei miei argomenti preferiti.

Alcuni insetti sono nemici giurati per le piante, ma ci sono alcune piante che sono nemiche giurate per gli insetti. Ad esempio le piante carnivore, come quelle del genere Nepenthes che tengono molta poca fede al loro nome etimologico ( ne “non”, e πένθος pénthos “dolore). Un insetto cade nell’ascidio (la “bocca”), e lì, incapace di scalare le pareti scivolose, scopre una nuova qualità di dolore e sofferenza mentre viene digerito lentamente per un migliaio di anni.

Sempre che non siate pipistrelli. In tal caso, potete semplicemente utilizzare certe piante come bat-caverne. Notare che la pianta è abbastanza evoluta da poter usare foglielama.

Essere lentamente digeriti non è probabilmente l’idea di divertimento di nessun insetto. Ma c’è una pianta carnivora che potrebbe essere utilizzata come storia dell’orrore nel regno degli artropodi:  Nepenthes bicalcarata.

Una pianta carnivora che digerisce insetti, utilizzando insetti.

Hey, ma, cosa sono quelle ombre in controluc… DUN DUN DUN!

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