A volte ricevo mail su articoli che ho pubblicato qui. Il più delle volte, sono mail totalmente e completamente folli, come quel tizio che voleva convincermi che nei cromosomi c’è la prova della divinità della Bibbia, visto che in Genesi c’è scritto che Eva è stata creata togliendo una costola ad Adamo e il cromosoma Y ha un braccio in meno del cromosoma X.
A volte sono cose che mi lasciano semplicemente perplesso: mail vuote che hanno come oggetto solo “Re:” e nel testo solo un link. Nel caso specifico, questo link.
Più o meno un anno fa scrissi un blogpost in reazione ad un paper, popolarissimo nella stampa generalista, che sosteneva che i Vittoriani erano più intelligenti di noi e col tempo stiamo diventando tutti scemi. A quanto pare la gente che vuole fare del passato imperiale inglese un mondo ideale non manca: ed ecco che il link qua sopra vorrebbe persuadermi che l’età Vittoriana era l’età d’oro della salute umana, in cui la speranza di vita era superiore a quella moderna, in cui nessuno assumeva alcool o tabacco, il cibo industrializzato non aveva rovinato la nostra salute, e le malattie degenerative non esistevano.
In pratica, in barba a WHO, vegetariani vari e 200 anni di scienza della nutrizione, la dieta ideale esiste ed è più o meno quello che mangiava Darwin.
E, giusto per dovere di cronaca, partiamo con il dire che sono profondamente pregiudizievole contro questo tipo di argomentazioni ancora prima di leggerle nel merito. Perché, per quanto supporre che il presente sia l’ultima parola sul progresso e il benessere umano sia arrogante e opinabile, tutte queste affermazioni che vogliono indorare il passato come fosse un mito arcadico mi fanno veramente cadere le braccia. Negli ultimi 50 anni la medicina ha visto la comparsa di vaccini per la polmonite, per le meningiti, per le epatiti, per il morbillo e per l’HPV; RM, PET, TAC e altre sigle diagnostiche improponibili; chirurgia laser, chirurgia robot, telechirurgia, chirurgia estetica e liposuzione; centinaia di farmaci tra cui fluoxetina, paroxetina e mirtazapina, per cui ho particolare affetto; abbiamo avuto il tempo di inventare e far perdere di efficacia per colpa di uso sconsiderato una dozzina di antibiotici; cuori artificiali, coclea artificiali e arti artificiali così efficaci che se provi ad usarli per competere alle olimpiadi alla gente viene il serio dubbio che ti avvantaggino; occhi artificiali e fegati artificiali sono lì lì dietro l’angolo. Abbiamo un posto dove puoi accedere da qualsiasi parte nel mondo e avere accesso ad una versione approssimativa di tutto il sapere umano, dai fossili di generi di lemuri estinti a strani formaggi polacchi.
Ma, a quanto pare, quando lo stato dell’arte della medicina era un corpetto coi magneti per far crescere le tette e l’arsenico era sicuro e onnipresente, i vittoriani (che giustamente erano più intelligenti di noi) avevano trovato lo stile di vita e la dieta perfetta per una vita senza malanni.
Ora, io posso capire che a leggere Ugo Bardi alla gente venga il male di vivere, e che spesso queste affermazioni pro-saggezza-millenaria-si-stava-meglio-quando-si-stava-peggio siano più che altro motivate da comprensibile furia contro lo status quo che da un genuino credere che sotto la regina Vittoria la gente stesse alla grande; ma vedere scritto in letteratura scientifica, che tra il 1850 e il 1870 ” a generation grew up with probably the best standards of health ever enjoyed by a modern state. ” mi fa quasi rivalutare la costola di Adamo.
Messo in chiaro che sono più pregiudizievole di un membro del Ku Klux Klan a Lampedusa, andiamo a vedere quali sono le argomentazioni e le prove che Clayton e Rowbotham portano nel loro articolo pubblicato sull’International Journal Of Environmental Research And Public Health (Impact Factor: 1.99).
Quello che vogliono sostenere, nello specifico, è che:
We argue in this paper, using a range of historical evidence, which Britain and its world-dominating empire were supported by a workforce, an army and a navy comprised of individuals who were healthier, fitter and stronger than we are today. They were almost entirely free of the degenerative diseases which maim and kill so many of us, and although it is commonly stated that this is because they all died young, the reverse is true; public records reveal that they lived as long – or longer – than we do in the 21st century. These findings are remarkable, as this brief period of great good health predates not only the public health movement but also the great 20th century medical advances in surgery, infection control and drugs,
Che, tradotto in breve per la mia mamma, significa che l’Impero Britannico aveva una forza lavoro, un esercito e una marina più in salute, più forte e più atletica di quanto non siamo noi moderni, in cui le malattie degenerative sostanzialmente non esistevano, e che vivevano tanto a lungo, se non più a lungo di noi, nonostante spesso si dica il contrario, il tutto ben prima dell’invenzione non solo della medicina pubblica, ma anche degli antisettici e dei primi farmaci.
Una affermazione sorprendente, e, direbbe qualcuno, straordinaria. Su quale evidenze si basa?
The fall in nutritional standards between 1880 and 1900 was so marked that the generations were visibly and progressively shrinking. In 1883 the infantry were forced to lower the minimum height for recruits from 5ft 6 inches to 5ft 3 inches. This was because most new recruits were now coming from an urban background instead of the traditional rural background (the 1881 census showed that over three-quarters of the population now lived in towns and cities). Factors such as a lack of sunlight in urban slums (which led to rickets due to Vitamin D deficiency) had already reduced the height of young male volunteers. Lack of sunlight, however, could not have been the sole critical factor in the next height reduction, a mere 18 years later. By this time, clean air legislation had markedly improved urban sunlight levels; but unfortunately, the supposed ‘improvements’ in dietary intake resulting from imported foods had had time to take effect on the 16–18 year old cohort. It might be expected that the infantry would be able to raise the minimum height requirement back to 5ft. 6 inches. Instead, they were forced to reduce it still further, to a mere 5ft. British officers, who were from the middle and upper classes and not yet exposed to more than the occasional treats of canned produce, were far better fed in terms of their intake of fresh foods and were now on average a full head taller than their malnourished and sickly men.
Sul fatto che nel 1883 l’esercito inglese si ritrovo ad abbassare l’altezza minima delle reclute da 167 cm a 160 cm. Gli autori sostengono che questa riduzione non poteva essere dovuta soltanto alla carenza di vitamina D di cui la classe operaia vittoriana soffriva cronicamente per via delle loro abitazioni urbane minuscole e per i cieli oscurati dai fumi del carbone, perché furono costretti a ridurla nuovamente 18 anni dopo, quando erano già state prese misure per migliorare l’esposizione al sole dei cittadini, portandola ad una mera altezza minima di 152 centimetri. Gli ufficiali, che venivano dalle classi più ricche e non consumavano cibo in scatola o processato ma i naturali frutti della terra, erano in media una testa intera più alta dei loro commilitoni malnutriti.
Non esattamente uno standard di prova altissimo. Non solo perché non esiste modo a posteriore di dimostrare che la differenza di altezza tra ufficiali e soldati semplici sia dovuta direttamente a quello che mangiavano, ma anche perché, se per qualsiasi motivo, la ragione per cui l’Esercito Britannico si trovava ad abbassare l’altezza minima perché aveva carenza di uomini in generale, e non perché aveva standard più bassi, la statistica riportata è totalmente insignificante. Seguendo il ragionamento all’estremo, siccome l’altezza minima per entrare nella marina inglese è oggi 147 centimetri, la popolazione umana sta rimpicciolendosi, e fra due secoli gli eserciti saranno composti solo da pigmei.
Ecco allora che ci viene in soccorso questo articolo del National Bureau of Economic Research, una associazione no-profit che conta 22 premi nobel per l’economia tra i suoi membri. Non è la fonte citata da Clayton e Rowbotham: loro citano invece un libro (per la precisione Height, Health and History: Nutritional Status in the United Kingdom, 1750–1980. Cambridge University Press) a cui purtroppo non ho modo di avere accesso. Ma nell’articolo del NBER, che al contrario del libro è open access, trovate questo interessante grafico (Figura 1, pagina 39):
Per quanto il grafico sembri in grado di registrare variazioni reali e significative nelle altezze dei vittoriani, come si vede nel crollo del 1825, quando c’è il boom dell’urbanizzazione e il crollo nella salute dei vittoriani che gli autori stessi dell’articolo imputano a carenze di vitamina D, da nessuna parte si vede un crollo nell’altezza intorno alla fine del 19esimo secolo. Anzi: l’altezza media dei nati nel 1881 è maggiore di quella dei nati nel 1861, esattamente l’opposto di quello che vorrebbero gli autori; usare l’altezza minima per il reclutamento per cercare differenze evidenti fra classi ricche e operaie nasconde il fatto che la gran parte dei maschi inglesi era più alto nel 1881 che nei 30 anni d’oro che vorrebbero gli autori. Quindi, o improvvisamente gli inglesi sono diventati largamente benestanti, o la ragione degli standard più bassi nell’esercito dell’impero non ha a che fare con la nutrizione ma con qualche altra ragione storica. Tipo i 7 conflitti che l’esercito imperiale si trovò ad affrontare tra 1861 e 1881 e che presumibilmente ridussero il numero di soldati disponibili.
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Va bene, magari i Vittoriani non erano più forti e più atletici e più alti, ma gli autori ci dicono anche che la loro dieta era tale per cui la durata della vita media, superati i rischi nell’infanzia, era superiore a quella dei moderni, e le malattie degenerative non esistevano.
Ipse dixit:
The crude average figures often used to depict the brevity of Victorian lives mislead because they include infant mortality, which was tragically high. If we strip out peri-natal mortality, however, and look at the life expectancy of those who survived the first five years, a very different picture emerges. Victorian contemporary sources reveal that life expectancy for adults in the mid-Victorian period was almost exactly what it is today. At 65, men could expect another ten years of life; and women another eight. This compares surprisingly favourably with today’s figures: life expectancy at birth (reflecting our improved standards of neo-natal care) averages 75.9 years (men) and 81.3 years (women); though recent work has suggested that for working class men and women this is lower, at around 72 for men and 76 for women. […]
Given that modern pharmaceutical, surgical, anaesthetic, scanning and other diagnostic technologies were self-evidently unavailable to the mid-Victorians, their high life expectancy is very striking, and can only have been due to their health-promoting lifestyle. But the implications of this new understanding of the mid-Victorian period are rather more profound. It shows that medical advances allied to the pharmaceutical industry’s output have done little more than change the manner of our dying. The Victorians died rapidly of infection and/or trauma, whereas we die slowly of degenerative disease. It reveals that with the exception of family planning, the vast edifice of twentieth century healthcare has not enabled us to live longer but has in the main merely supplied methods of suppressing the symptoms of degenerative diseases which have emerged due to our failure to maintain mid-Victorian nutritional standards. Above all, it refutes the Panglossian optimism of the contemporary anti-ageing movement whose protagonists use 1900 – a nadir in health and life expectancy trends – as their starting point to promote the idea of endlessly increasing life span. These are the equivalent of the get-rich-quick share pushers who insisted, during the dot.com boom, that we had at last escaped the constraints of normal economics. Some believed their own message of eternal growth; others used it to sell junk bonds they knew were worthless. The parallels with today’s vitamin pill market are obvious, but this also echoes the way in which Big Pharma trumpets the arrival of each new miracle drug.
Tradotto:
Le stime rozze usate spesso per mostrare la brevità delle vite Vittoriane sono fuorvianti perché includono la mortalità infantile, che era tragicamente alta. Se togliamo la mortalità perinatale, invece, e guardiamo alla speranza di vita di quelli che sono sopravvissuti ai primi cinque anni, emerge un quadro molto differente. Fonti contemporanee ai vittoriani rivelano che la speranza di vita degli adulti era quasi esattamente identica a quella odierna. A 65 anni, gli uomini potevano aspettarsi altri dieci anni di vita, e le donne altri otto. Questo si paragona favorevolmente alle cifre moderne: la speranza di vita alla nascita (che riflette il nostro migliorato standard di cura neonatale) è in media di 75.9 anni (uomini) e 81.3 anni (donne; ma lavori recenti suggeriscono che per la classe operaia queste cifre siano inferiori, intorno ai 72 per gli uomini e 76 per le donne. […]
Dal momento che le moderne tecnologie farmaceutiche, chirurgiche, anestetiche e diagnostiche erano evidentemente assenti in età vittoriana, la loro alta speranza di vita è particolarmente sorprendente, e può essere dovuta solo al loro stile di vita salutare. Ma le implicazioni di questa nuova comprensione del periodo vittoriano sono molto più profonde. Mostrano che il progresso medico avanzato alleato alle industrie farmaceutiche non ha fatto altro che cambiare il modo in cui moriamo. I vittoriani morivano rapidamente di infezioni o traumi, mentre noi moriamo lentamente di malattie degenerative. Mostra che, con l’eccezione del famili planning, l’edificio della sanità pubblica del ventesimo secolo non ci ha permesso di vivere più a lungo ma ha soltanto dato nuovi modi di nascondere i sintomi delle malattie degenerative che sono emerse per colpa della nostra incapacità di mantenere gli standard di nutrizione Vittoriana. Soprattutto, confuta l’ottimismo Panglossiano dei movimenti contemporanei anti invecchiamento i cuoi protagonisti usano il 1900 – un punto basso per quanto riguarda la salute e la speranza di vita – come punto di partenza per promuovere l’idea di un continuo allungamento della vita. Sono l’equivalente di quelli che, durante la bolla di internet, spingevano schemi per diventare ricchi in poco tempo, sostenendo che avevamo superato l’economia convenzionale. Alcuni abboccarono al messaggio. di crescita eterna; altri lo sfruttarono per vendere ciò che sapevano essere senza valore. I paralleli con il mercato odierno delle vitamine sono ovvie, ma fa anche eco al modo in cui Big Pharma annuncia trionfalmente l’arrivo di ogni nuovo farmaco miracoloso.
Ed ecco che, non del tutto sorprendentemente quando si cerca di idealizzare la salute del passato, arriva l’immancabile attacco a Big Pharma, l’ottimismo tecnologico e il sistema sanitario moderno. Hasta i Victoriani Siempre, insomma. Viene il dubbio che non sia io l’unico ad essere imbottito di pregiudizi. Ma invece di guardare alla forma, guardiamo nel merito.
L’affermazione degli autori per cui guardare la speranza di vita alla nascita è fuorviante è assolutamente vera. E’ vera anche nel nostro secolo, tanto che usando lo stesso trucchetto avevo scritto un articolo che mostrava come i lettori di Prosopopea hanno una vita media più lunga del normale, a riprova dei benefici della lettura di questo blog. Eppure subito dopo gli autori, come se non avessero appena detto che la speranza di vita infantile falsa le statistiche, confrontano l’aspettativa di vita di un 65enne Vittoriano con la l’aspettativa di vita alla nascita moderna! Ipocrisia portami via.
Ma, anche volendo concedere questo valido punto agli autori, i conti non tornano. Gli autori questa volta citano un altro libro, ” Charlton J, Murphy M, editors. The Health of Adult Britain 1841–1994. Vol. 2. National Statistics; London, UK: 2004. ” che, come il precedente riferimento bibliografico, non è accessibile online. Ma l’articolo citato in precedenza del NBER ha una altra tabella interessante:
Siccome la tabella ha un sacco di cifre ed è complicata, ho messo un paio di cose in evidenza. L’ultimo periodo prima del collasso totale secondo Clayton & Co (1873-77, prima dell’annus horribilis del 1881) è circondato in rosso; il periodo peggiore dopo il 1881, il 1888-1892, è circondato in nero; infine, il “nadir” che le Big Pharma usano per manipolare la gente, ovvero il 1900, è evidenziato in verde. La marcata linea verticale divide la mortalità perinatale e infantile da quella adulta; tutto quello che è a sinistra della linea nera, come vogliono gli autori, andrebbe ignorato.
Il periodo evidenziato in rosso dovrebbe essere l’ultimo afflato del periodo d’oro secondo gli autori (che, ricordo, va dal 1850 al 1880.) Dal 1881 parte il declino dei vittoriani: ho guardato le cifre per voi tra 1881 (l’anno del “collasso nutrizionale” e 1900 e ho evidenziato in nero l’anno in cui la mortalità tra le fascie più vecchie della popolazione (35+) era più alta, perché presumibilmente il collasso non avviene in un giorno, e quindi sarebbe stato non-attendibile guardare solo la fascia 1883-1887. Eppure, in tutte le fasce d’età post natali oltre che prenatali, il 1888-1892 è un periodo migliore del 1873-77, l’ultimo periodo di grande splendore; e bisogna andare prima dell’inizio del supposto periodo d’oro per trovare mortalità inferiori su tutti i gruppi. Annus horribilis, ma neanche tanto.
Non solo: la fascia intorno al 1900 è un miglioramento in tutte le fasce d’età sopra i 10 anni, rispetto al periodo d’oro; alla faccia del nadir; e proseguendo nel 1900 i tassi di mortalità degli adulti collassano sotto i livelli più bassi di tutto il secolo.
Anche ammettendo l’esistenza di questo “collasso nutrizionale”, la sua influenza sulla mortalità è a mala pena statisticamente visibile; vedrebbe invece anche un cieco il generale trend di diminuzione della mortalità sull’arco di un secolo. Non a caso, gli autori del NBER, subito sotto la tabella (pag 99), commentano:
” The main reason for the arrest of progress in the decline of mortality (tra 1830 e 1870, ndr) was not a deterioration in living standard of those who lived in towns, but the disproportionate increase of the urban population. This meant that even though the average level of real wages was increasing, a growing proportion of the population was being subject to the unhealty conditions of town life “
Tradotto: i Vittoriani fecero un pessimo affare con l’urbanizzazione, visto che con il massiccio trasferimento della popolazione nei centri urbani il trend secolare di abbassamento della mortalità improvvisamente entrò in 40 anni di stallo per via delle pessime condizioni igeniche cittadine.
Ora, io non so che dati avessero i due autori dell’articolo, ed è possibile che focalizzandosi esclusivamente sulla gentry ricca che dalla città se ne stava ben lontana, tra il 1850 e il 1880 potesse avere una mortalità bassa rispetto ai loro coevi: ma è perché gli operai andavano in città a morire tra smog e colera, non perché la dieta dei Vittoriani prima era miracolosa e poi è diventata uno schifo.
L’ultimo punto della triplice proposta degli autori riguarda l’assenza di malattie croniche e degenerative nei Vittoriani. E, tra tutte le affermazioni, è senza dubbio quella con cui, prima facie, ho meno problemi: i Vittoriani vivevano in un epoca precedente al mass-marketing delle sigarette, all’invenzione delle automobili, le loro diete erano in larghissima parte vegetali, perché la carne se la potevano permettere solo i ricchi, e la stragrande maggioranza delle persone viveva di lavoro manuale, per cui l’obesità era rara. Non è così folle pensare che le malattie cardiache, il cancro e l’obesità con tutto quello che ne consegue, fossero più rare per ragioni ambientali e di stile di vita. Ma la spiegazione degli autori è leggermente differente:
Degenerative diseases are not caused by old age (the ‘wear and tear’ hypothesis); but are driven, in the main, by chronic malnutrition. Our low energy lifestyles leave us depleted in anabolic and anti-catabolic co-factors; and this imbalance is compounded by excessive intakes of inflammatory compounds. The current epidemic of degenerative disease is caused by widespread problem of multiple micro- and phyto-nutrient depletion (Type B malnutrition.)
Le malattie degenerative sono in realtà causate da malnutizione cronica, e non hanno niente a che fare con l’invecchiamento. Spiegazione che, a vederla in un paper che in teoria ha passato la peer review, mi provoca l’impulso irrefrenabile di sbattere la testa contro la scrivania.
Alla dieta moderna mancano i fito-nutrienti! E’ lì la chiave di tutte le malattie! Siamo tutti malnutriti e per quello abbiamo malattie degenerative e obesità! Del resto basta guardare i paesi del mondo moderno con più malnutrizione, come l’africa centrale e i paesi più poveri del sud-est asiatico, per vedere il tasso di cancro, arteriosclerosi e obesità alle stelle. No?
Ah, già, no. La gente che è effettivamente e clinicamente malnutrita ha un incidenza pressoché trascurabile di questo tipo di malattie, non in ultimo perché muoiono prima. La maggior parte dei nutrizionisti moderni risponderebbe agli autori che il problema principale delle diete occidentali non è la mancanza di qualcosa di specifico, ma l’eccesso di cose sbagliate: e la singola raccomandazione più comune è di sostituire i cibi processati con frutta e verdura, non avere una dieta da 4000 calorie al giorno per avere più di tutti i tipi di nutrienti e micronutrienti possibili.
Duecento anni di scienza della nutrizione dal tempo dei vittoriani, potranno mica essere tutte cazzate? No ?
Since it would be unacceptable and impractical to recreate the mid-Victorian working class 4,000 calorie/day diet, this constitutes a persuasive argument for a more widespread use of food fortification and/or properly designed food supplements (most supplements on the market are incredibly badly designed; they are assembled by companies that do not understand the real nutritional issues that confront us today, and sell us pills containing irrational combinations and doses that can do more harm than good).
To insist, as orthodox nutritionists and dieticians do, that only whole fruit and veg contain the magical, health-promoting ingredients represents little more than the last gasp of the discredited and anti-scientific theory of vitalism. Even the stately FSA concedes that fruit juices count towards your five-a-day, as do freeze-dried powdered extracts of fruits and vegetables. As our knowledge of phytochemistry and phytopharmacology increases, it has become perfectly acceptable to use rational combinations of the key plant constituents in pill or capsule form.
Ah, no. Insistere che la frutta e la verdura fanno bene e andrebbero inserite nella dieta è “vitalismo”: quello che serve sono più pillole di vitamine e supplementi vegetali. E dire che dalle uscite precedenti pensavo che gli autori ce l’avessero con Big Pharma…
These arguments are developed in ‘Pharmageddon’, a medical textbook which illustrates how micro- and phyto-nutrients can be specifically combined in order to prevent and treat the chronic degenerative diseases that characterise and dominate the 20th and 21st centuries; and how they could be integrated into our food chain in order to reduce the contemporary and excessively high risks of the degenerative diseases to the far lower mid-Victorian levels.
Che bel titolo “Pharmageddon”, per un libro di testo per medicina. Stolto io che mi sono fermato a ” Fondamenti di Biochimica, quinta edizione ” e ” Farmacologia Clinica “, invece che scoprire come magici supplementi potessero prevenire e CURARE le malattie degenerative.
E io che pensavo che la ragione per cui la comunità medica internazionale non abbandona le malvagie pseudo-cure di Big Pharma a favore dei supplementi fitoterapici approvati dalla regina vittoria fosse che, come gli autori stessi ammettono un paragrafo sopra, questi supplementi non funzionano. Invece no, è che non abbiamo letto il manualone speciale. Capisco adesso la loro fissa di citare libri invece che letteratura primaria nelle fonti.
Ma, fammi googlare un attimo, chi è che l’ha scritto questo Pharmageddon? Ah, Clayton , uno dei due autori. Che sorpresa.
Io apprezzo sinceramente ogni commento, domanda, mail e minaccia di morte che mi mandate. Ma se proprio dovete mandarmi pubblicità, almeno non nascondetela dietro una supposta peer review.
UPDATE: Grazie all’aiuto del gentilissimo Marco Ferrari (@Ferratuitter), ho messo le mie manine pucciose sul libro che Clayton & Co usano come riferimento per l’altezza dei vittoriani.
Il poderoso tomo contiene una pletora di informazioni, ma ancora prima di andare nel merito, devo per forza fermarmi alla seconda pagina, perché la situazione è letteralmente da euforia paradossa.
Ripreso dal riso sardonico che questa cosa mi suscita, posso dare (ancora! e che nessuno venga a dirmi che non sono un pezzo di pane) ai nostri eroi il beneficio del dubbio: magari Fogel ha cambiato opinione nel tempo, o la sua analisi dei dati non è sofisticata abbastanza, o Clayton non aveva accesso a internet ma questo libro nello scaffale perché credendo al superiore standard di vita vittoriano ha deciso di abbandonare cianfrusaglie moderne come la tecnologia digitale, e l’articolo è stato dattilografato su una macchina da scrivere Remington coi tasti in avorio in ordine alfabetico.
Guardando l’indice, noto subito che questo libro prende sul serio la mia obiezione sui possibili altri problemi di reclutamento: gli autori ci dedicano ben due capitoli, uno più storiografico ( Recruitment In Britain, 1700-1916) e un secondo più demografico-statistico (Inference from samples of military records). Sono 100 e più pagine di materiale che non sono realmente qualificato per cui giudicare, in cui si entra in gran dettaglio nella domanda e nell’offerta del mercato del lavoro nell’impero britannico tra 1700 e 1916 (visto che l’esercito era composto da volontari) e si usano una pletora di modelli economici tra domanda inelastica e le diverse necessita militari nel corso degli anni. Salta però al mio occhio un paragrafo in particolare, nelle conclusioni:
The central conclusion of this study of the market for military labour, limited though it may be by deficiencies of evidence, is that the armed forces entered the labour market much as did other major employers, though with disadvantages in competing for labour caused by the slowness with which they could react to labour market conditions. Partly as a result of this, partly through the disamenities of Army life, they tended to be an employer of last resort. Nevertheless, in the unstable labour markets of eighteenth- and nineteenth-century Britain, such a position made them attractive, at some time or another, to a large fraction of the British working class.
In sostanza, la larga parte di coloro che entravano nell’esercito erano i lavoratori meno qualificati e più alla canna del gas, come ultima risorsa, anche perché la vita militare faceva particolarmente schifo. In particolare, la maggior parte delle reclute, dice il testo dell’articolo, veniva da residenti urbani nella fascia 18-23. Questo è in linea con quello che dicono i venditori di Pharmageddon per il periodo 1880-1900, ma, cruciale per la loro argomentazione, è che prima la situazione fosse diversa, e che questo fosse collegato in qualche modo alla nutrizione delle reclute del periodo 1880-1900 rispetto a quelle del periodo 1850-1870. Fortunatamente per me, quattro capitoli del libro sono dedicati alla salute e allo status nutrizionale dei vittoriani. E, tra le altre cose, sono registrati i dati di altezza degli adolescenti in base alle scuole che frequentavano, il che permette di dividere chiaramente chi aveva accesso a una nutrizione e uno stile di vita adeguato durante un momento cruciale dello sviluppo, rispetto a chi si doveva accontentare di crescere ai margini della società vittoriana. E, indovinate un po’:
Gli autori hanno chiaramente ragione su un punto: trasferirsi in città durante l’urbanizzazione selvaggia di metà ottocento era il peggior affare che un contadino potesse fare. Ma non esiste nei dati motivo di credere che chi rimaneva in campagna o avesse accesso a più risorse stesse particolarmente bene in assoluto; semplicemente, stava meglio di chi stava molto peggio. C’è una diminuzione dell’altezza media nell’esercito quando l’impero decide di abbassare gli standard di altezza, e nei quindicenni nati attorno al 1850 (cioè nell’altezza attorno al 1865, in piena età d’oro); le due cose sono probabilmente strettamente correlate (di nuovo: la massima parte dell’esercito era composta da poveracci) ma chiaramente per i ricchi c’è un trend secolare verso l’alto nell’altezza, indipendentemente da supposte crisi nutrizionali del 1880 (Che dovremmo vedere sul grafico in corrispondenza dell’annus horribilis del 1900; nessuna traccia, anzi, chiaro trend verso l’alto in tutte le fasce).
E sarebbe già questo sufficiente come pietra tombale sulla discussione. Ma c’è un ultima cosa che voglio riportare. Fogel et al, nel capitolo 7, scrivono:
It will be remembered that the increase in heights, after severe decline in the middle of the century, began with cohorts born in the 1860s and there was a gradual but consistent increase thereafter. If this improvement reveals an improvement in nutritional status, then one would expect to see the benefits of this improvement in the shape of declining morbidity and mortality as these cohorts aged. […] In other words, the fall in mortality in the late ninetheenth century England and Wales follows almost exactly the pattern that we would expect from evidence of nutritional status. […] There is little doubt that the second half of the nineteenth century,
or more precisely the fifty-five years from 1860 to the outbreak of the First World War, saw significant improvements in the nutritional status of the British people and that these improvements were reflected in reductions in mortality and morbidity levels. The evidence of mean heights correlates so well with that of mortality that this inference is fully justified. Nevertheless, it would be inappropriate to overemphasise the scale of the change. Average male heights recovered from the very low levels which they had reached in the middle of the nineteenth century […] (enfasi mie)
C’è un premio per chi dice l’esatto contrario delle fonti che cita a supporto della propria tesi? Perché Clayton e Rowbotham andrebbero candidati: nell’esatto periodo che loro descrivono come peggiore, c’è un miglioramento trasversale dello stato nutrizionale.
No, la gente non stava meglio in età vittoriana. No, neanche i ricchi. E’ che i poveri e i proletari stavano talmente male da far sembrare chi poteva permettersi di mangiare tutti i giorni sano.
Com’è che era quella frase celebre sui ciechi e il solo occhio? Ecco.
Il che però potrebbe essere presentata come una buona dimostrazione che “i Vittoriani erano più intelligenti di noi e col tempo stiamo diventando tutti scemi”. Cosa del resto difficilmente confutabile, considerando l’eliminazione della pressione selettiva.
Del resto, se anche una rivista scientifica con peer review lascia pubblicare tali baggianate (e mi piacerebbe proprio sapere cosa hanno dichiarato gli autori riguardo la presenza di conflitti di interesse personali), le perplessità sono molte e doverose. Facile immaginare che si sia davanti ad una di quelle riviste open access spazzatura di cui proprio Lei, signor DoppiaM, aveva già avuto modo di parlare. Il che sposta l’obiettivo verso le fonti di informazioni generaliste e sul loro modo di occuparsi di scienza. Ma su questo non c’è molto da dire, che non sia stato già detto di peste e colera. Quelli dei buoni vecchi tempi, naturalmente. Perché ovviamente si stava meglio quando si stava peggio, ed almeno allora il carretto dei monatti arrivava sempre in orario, non come oggi, signora mia.
Michele Gardini
I vittoriani erano intelligenti? Vero! Infatti anno lavorato per diventare quello che siamo adesso.
Noi stiamo diventando scemi? Vero pure questo, infatti c’è gente che lavora per tornare ad essere come i vittoriani 😉