E’ un normale giovedì mattina. Al Polo Sud, nelle profondità della Terra ma soprattutto del ghiaccio, all’Ice Cube Neutrino Observatory, alcuni ricercatori annoiati seguono la routine, controllando i dati della notte precedente in cerca di qualche segnale interessante. Ancora nel dormiveglia, uno di loro nota qualcosa di strano. “Oh, ma avete visto l’ultimo set di dati? Si dev’essere fuso qualcosa: è completamente fuori scala!”, urla agli altri, ancora distanti, mentre un sottile fumo si alza e condensa dal suo caffè bollente. Le letture sono fuori da ogni norma. I neutrini sono particelle al limite dell’etereo, difficilissime da rivelare, eppure una pioggia improvvisa di questi fantasmi ha colpito i rivelatori.
Perfino i neutrini solari, che provengono dall’oggetto più luminoso e vicino nel cielo, vengono a malapena registrati dagli avanzatissimi strumenti nelle
profondità polari. “S’è spaccato tutto, qua”, esclama un altro scienziato, frustrato. Due ore dopo, i controlli tecnici non avrebbero notato nulla diirregolare negli strumenti.
Ma nessuno sopravvivrà fino a due ore dopo.
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