Lo Spiegone: l’Orologio Molecolare

Diciamo che vi svegliate un mattino con una pazza voglia di scoprire quando è vissuto l’ultimo antenato comune tra uomo e nudibranchi.

I nudibranchi sono creature molto carine ed esotiche, e alcuni ricordano terribilmente dei Pokemon.

Omg Nudibranch

Chromodoris geometrica in una foto accurratamente studiata per fingere che abbia un faccino puccioso. Photocredits: David Dubliet via NatGeo

Sfortunatamente, i nudibranchi sono molluschi. E le cose mollicce tendono a fossilizzarsi molto poco: tanto che non conosciamo fossili di nudibranchi adulti; tutto al più si può trovare qualcosa dello stato larvale, quando queste creaturine non hanno ancora perso la conchiglia.

“Va beh”, dite voi, determinati a trovare almeno una data approssimativa ” Passando da gruppi tassonomici più grandi il problema è meno grave, no ? Io sono un vertebrato, i nudibranchi sono molluschi e quindi invertebrati, posso andare a vedere più o meno quando questi due gruppi si sono separati. ”

Beh, sì e no. Per andare tanto indietro da trovare un antenato comune tra vertebrati e invertebrati bisogna andare… tanto indietro. Più di 600 milioni di anni, prima dell’esplosione del cambriano. E prima del cambriano tutto quello che c’era era molliccio e poco prono a fossilizzarsi, il che vi riporta punto e a capo.

Oh, se solo l’evoluzione fosse un processo regolare, misurabile, costante. Ma non c’è speranza di riuscire a trovare regolarità e costanza nell’evoluzione di qualsiasi arto o organo,dal cervello all’ultimo dei baffi: la selezione darwiniana agisce in maniera diversa tanto più o meno un tratto contribuisce alla sopravvivenza di un organismo. J.B.S Haldane, una volta, propose una misura di un tasso di evoluzione, il Darwin, che misurava cambiamenti proporzionali di generazione in generazione. Applicarlo ai fossili reali era però una tortura: non solo perché bisognava in qualche modo scoprire quante generazioni c’erano tra i fossili, ma anche perché i tassi risultanti passavano in tranquillità dai milliDarwin ai kiloDarwin senza soluzione di continuità. Una causa persa, insomma. O forse no.

Nel 1962 Linus Pauling aveva 61 anni e due premi nobel, e per un pelo non aveva beccato il terzo: la struttura del DNA che aveva proposto era una tripla elica, invece che una doppia. Se Rosalind Franklin avesse mandato quella cristallografia a lui invece che a Watson, a quest’ora avrebbero probabilmente tutti e due un nobel extra.
Avendo una certa fama e potendo dedicarsi a quello che voleva, Pauling si era concentrato sulle origini molecolari delle malattie: la sua ambizione era di ridurre le malattie mentali a problemi nella biochimica del cervello. Le tecniche biochimiche che aveva a disposizione non erano però abbastanza precise, e quindi cercava di farne perfezionare di nuove dai suoi dottorandi, tra cui Emile Zuckerkandl.

Emile Zuckerkandl nel 1986. O non sono più capace di usare google, o non esiste una sua foto più vicina al 62 di questa.

Emile lavorava con l’emoglobina per conto di Pauling, cercando modi per identificare velocemente le variazioni nella sua struttura molecolare: variazioni che, si aspettava Pauling, potevano essere collegate a varie patologie. Confrontando varie emoglobine e varie specie, i due notarono però una cosa: il numero di aminoacidi che cambiavano nella struttura tra le emoglobine di due specie era direttamente proporzionale alla distanza temporale tra i due gruppi tassonomici, stimate attraverso i fossili nei vari strati geologici. In altre parole, confrontando le emoglobine due specie che si erano evolutivamente separate più di recente, come esseri umani e scimpanzé, non solo c’erano meno differenze che tra l’emoglobina umana e quella di ratto, ma il numero di differenza aumentava linearmente con l’aumentare della distanza temporale.

L’idea era talmente assurda che quasi avevano paura di metterla in letteratura, passarla per la peer review, perché pure con la firma di un due volte premio nobel c’era il rischio che venisse rifiutata. I due, così, bararono: pubblicarono l’articolo in cui mostravano questi risultati nei resoconti di una conferenza dedicata ad  Albert Szent-Györgyi, lo scopritore della struttura della vitamina C. Non spiegavano perché le variazioni si accumulassero in maniera costante, generalizzavano frettolosamente dall’emoglobina a qualsiasi proteina, e mostravano dei calcoli preliminari sui lignaggi di uomo e cavalli. Sorprendentemente, i paleontologi la presero bene. Mentre Pauling dedicò il resto della sua vita a infruttuosi studi sulle megadosi di vitamina C come cura per il cancro, Zuckerkandl si dedicò ad affinare questo nuovo strumento, che battezzò Orologio Molecolare.
Appena un paio di anni dopo saltò fuori un’altra osservazione rilevante per la nostra storia, e che rovina il vostro sogno di scoprire la distanza tra uomo e nudibranchi: il principio dell’equidistanza genetica.
Usando questa volta il Citocromo-C invece che l’emoglobina, Emanuel Margogliash mostrò che il numero di differenze accumulate dipendeva dal tempo di divergenza del ceppo preso in considerazione. In pratica, il citocromo-C di un uccello era tanto diverso da quello dell’uomo da quello di un cavallo, dal momento che tutti i mammiferi si sono diversificati dopo la separazione della linea genealogica che ha portato agli uccelli diversi. Che è già un bel risultato, dal momento che permette di ricostruire certe relazioni di parentela in alberi genealogici complicati. Ma c’era anche una novità: il citocromo C variava più in fretta dell’emoglobina, seppure sempre con un tasso costante. E nessuno, nel 1963, aveva una chiara teoria del perché.

Almeno fino all’entrata in scena di Motoo Kimura.

Non solo Kimura era un genetista rivoluzionario, ma come testimonia questa foto ammiccante, era anche un uomo pieno di fascino e magnetismo animale.

Nel 1968 Kimura fa qualcosa che alcuni intepretarono come un gigantesco schiaffo a Darwin.
La biologia molecolare ormai era una disciplina in fermento da quasi un ventennio. Haldane aveva fallito perché misurava elementi macroscopici, ma il DNA, scritto nelle cellule con le sue quattro lettere, raccontava una storia diversa. La maggior parte dei cambiamenti evolutivi a livello molecolare, la maggior parte delle lettere  scambiate, non erano ne negative, ne positive. Erano puramente neutrali, totalmente invisibili alla selezione naturale, quella che, da Darwin in poi, era la forza creatrice e il motore principale dell’evoluzione. La deriva genetica era già nota, certamente, ma era dominio più della genetica di popolazione che degli studi evolutivi. Il fatto che la maggior parte dei cambiamenti molecolari sia assolutamente neutrale non mina in alcun modo il potere della selezione naturale, che agisce su ciò che gli è visibile, ma permetteva alle tecniche della genetica di popolazione e della biologia molecolare di dare nuove visioni sull’evoluzione tutta.

Kimura sviluppo un sistema teorico estremamente semplice, ma estremamente potente.

Diciamo che abbiamo una popolazione di 100 individui, ciascuno con il suo bel genoma. Una nuova mutazione compare in un singolo individuo in un singolo punto del genoma. La frequenza di questa mutazione, essendo nuovissima, è molto vicina allo zero; la nostra popolazione è relativamente piccola, e sarà 1/100. Questa mutazione sarà assolutamente neutrale , come la maggior parte delle mutazioni possibile (dice Kimura). La sua diffusione nelle generazioni successive non dipenderà in nessun modo dalla selezione naturale. Quando una mutazione arriva al 100% di una popolazione, si dice che è fissata, che è diventata lo standard. Questo succede rapidamente se la selezione naturale favorisce la nuova mutazione rispetto al tipo non mutante, ma può succedere che, in un certo numero di generazioni, la mutazione sia presente in tutti gli individui per puro caso tramite deriva genetica.

Kimura non si mostrò a formulare questo principio, ma mostrò anche che se la mutazione è veramente e totalmente neutrale, che il tasso a cui una mutazione va in fissazione è esattamente identico al tasso di mutazione.

Questa è una cosa epica per chi vuole sapere quando c’è stata la biforcazione tra i nudibranchi e gli esseri umani, ad esempio. Prendete un gene che è presente in tutte e due le specie, contate quante lettere sono differenti, e fate il conto, spannometrico, che la metà delle mutazioni siano andate in fissazione andando dall’ultimo antenato comune verso gli esseri umani, e l’altra metà dall’ultimo antenato comune verso i nudibranchi. Il numero di differenze che ottenete è il numero di “tic” dell’orologio molecolare. Basta sapere ogni quanto ticchetta l’orologio, fare una moltiplicazione semplice semplice, e il gioco è fatto.

Un semplice esempio di divergenza molecolare tra due linee evolutive. Se sappiamo che una mutazione si fissa in media una volta ogni 25 milioni di anni, e contiamo 4 lettere diverse nel nostro gene, ecco che possiamo dire che l’ultimo antenato comune era grossomodo 50 milioni di anni fa (ricordatevi di dividere per due le differenze!) Photocredits: Berkeley.edu

” Ehi, ehi, non così in fretta, Gringo! “, potrebbe dire ora il lettore sgamato, che mi piace immaginare come un giovane Clint Eastwood che mi lancia uno sguardo sbieco come nei suoi western, ” Chi diavolo ti dice che il tasso di mutazioni è costante ? ”

E, a dirla tutta, Clint ha ragione. L’orologio molecolare, si dice, non ticchetta come un orologio da muro, ma più come un contatore Geiger: tic impazziti a tempi casuali, tanto che non si può prevedere quando sarà il prossimo toc avendo sentito un tic. Siamo condannati a non sapere mai quando è vissuto l’ultimo antenato tra uomo e nudibranco (o vertebrati e invertebrati, visto che il principio di equidistanza genetica ci dice che è la stessa cosa) ?

Ebbene, no. Il paragone con il contatore geiger non è fatto per caso: il singolo decadimento radioattivo è assolutamente e totalmente imprevedibile, ancora più della comparsa di una radiazione, ma la media dei ticchettii in un certo intervallo di tempo si può prevedere. Tutte le datazioni con metodi radiometrici, tipo l’inflazionato Carbonio 14 al decadimento Uranio-piombo usato per misurare l’età della terra funzionano secondo questo principio, e l’orologio molecolare, in generale, non è una causa persa per lo stesso motivo: sul lungo periodo, sulla media, il tasso di mutazione è piuttosto costante.

E l’analogia si può portare avanti: così come diversi metodi radiometrici ticchettano a velocità differenti (Il tempo di dimezzamento del Carbonio 14 è di 5730 anni, quello del radio 226 è di 1600 anni), così diverse parti del genoma fissano mutazioni a ritmi diversi. L’emoglobina che usò per la prima volta Pauling fissa una differenza neutra ogni 14 milioni di anni; gli istoni, le proteine attorno a cui si avvolge il DNA per essere compattato sono i più lenti e conservati in assoluto, con una mutazione neutra fissata più o meno una volta ogni 250 milioni di anni.

Perché molecole diverse hanno tassi di fissazione diversi ? Non avevamo mica detto che se un cambiamento è neutro il tasso di fissazione è identico al tasso di mutazione ?
Ci sono un sacco di ragioni, ed è complicato spiegarle tutte.  Innanzitutto, c’è la questione della casualità: diciamo che i tassi di mutazione sono in media costanti sul lungo periodo, ma alla fine si analizzano sempre esempi particolari, con tutta la loro storia cristallizzata nella sequenza. In secondo luogo, c’è una correlazione positiva tra mutazioni non-neutrali e neutrali: alcuni zone del genoma possono mutare più in fretta di altre (indipendentemente dal fatto che le  mutazioni siano invisibili o no) e la selezione naturale agisce sempre sull’insieme finale, e non sulla singola mutazione.

Rubiamo un’analogia (fuori contesto) a Dawkins: se sostituisco una singola vogatrice in una squadra con una altrettanto brava (ignorando per un momento tutta la chimica e il sincronismo che serve per il canottaggio, visto che non ne capisco nulla), la velocità complessiva sarà più o meno la stessa, e la squadra avrà le stesse chance di passare la selezione nazionale. Ma se il team “muta” di più, e insieme ad una sostituzione equivalente in squadra entra una schiappa, o un fenomeno, cambieranno di conseguenza le probabilità di vincere della squadra intera. Le sostituzioni neutrali possono essere favorite o affossate in questo modo da altre mutazioni vicine. Photocredits: Joshua Sherurcij

Di nuovo Clint Eastwood cerca di interrompere ”  Ma se geni diversi hanno tassi di fissazione diversi,  come puoi dire che lo stesso gene ha un tasso di fissazione più o meno costante anche in specie differenti ? “.

Beh, il Clint Eastwood della mia immaginazione è ben più giovane e molto meno repubblicano di quello del mondo reale, ragion per cui, ancora una volta, ha fatto un obiezione intelligente.

I batteri hanno un sistema di riparazione del DNA molto meno sofisticato di quello umano, ad esempio, che permette un maggiore accumulo di mutazioni; il loro orologio molecolare ticchetta più velocemente. In più, certe specie si riproducono a velocità ben più alte di altre: in Drosophila ci sono 25 generazioni in un anno, nell’uomo una generazione ogni 25; e per ogni riproduzione sessuata nuove varianti sono infilate nella popolazione, per cui nello stesso milione di anni il moscerino della frutta dovrebbe avere ben più occasioni di fissare una mutazione rispetto al genere  homo.

La soluzione viene di nuovo dal giappone, brillantemente tirata fuori da un collega di Kimura.

Tomoko Ohta in una recente foto. Finalmente abbiamo una donna in questa storia.

Quando prima ho parlato di Kimura, ho detto che il tasso di fissazione per una mutazione neutrale dovrebbe essere uguale al tasso di mutazione. Ma Kimura, nella sua equazione, non considerava le dimensioni della popolazione. Una sua collega, Tomoko Ohta, non era però totalmente persuasa dal suo ragionamento: la biologia funziona per gradienti più che per salti discreti, e quindi l’idea che una mutazione fosse o completamente neutrale o improvvisamente efficace non la convinceva. Riformulò matematicamente la teoria, permettendo che le mutazioni fossero quasi neutrali, invece che totalmente neutrali. E in questo modo, le dimensioni della popolazione diventavano improvvisamente rilevanti.

In popolazioni grandi, mutazioni leggermente dannose vengono eliminate dalla selezione naturale prima che riescano ad andare in fissazione solo per caso. Ma in popolazioni piccole, il caso e la deriva genetica riescono a fissare queste piccole mutazioni deleterie prima che la selezione naturale, con i suoi tempi geologici, possa accorgersene.

Che centra questo con l’orologio molecolare e l’obiezione precedente ? Le generazioni di Drosofila continuano ad essere brevi e quelle umane ad essere lunghe.

Vero.  Ma tempo di generazione e dimensioni delle popolazioni non sono variabili indipendenti, tutt’altro. Animali piccoli e con un metabolismo veloce, come i moscerini della frutta si riproducono alla svelta, vero, ma hanno anche popolazioni molto grandi, riducendo l’effetto del caso. Viceversa, animali con un metabolismo più lento e generazioni più lunghe, tipo le balenottere azzurre, con 31 anni di tempo per generazione media, tendono ad avere popolazioni ben più piccole, dove il cieco caso diventa più incisivo quando si parla di fissare una mutazione.

Questo significa che, ancora una volta in media, l’orologio molecolare ticchetterà alla stessa velocità per lo stesso gene indipendentemente dalla specie. Se siamo abbastanza fortunati da avere dei fossili con cui calibrare gli orologi molecolari e assicurarci che siano attendibili, possiamo estrapolare con sicurezza nel passato. Ma la precisione diminuisce tanto più andiamo indietro nel tempo con un orologio e tanti meno fossili abbiamo. Tornare indietro alla divergenza tra vertebrati e invertebrati per sapere quando è vissuto l’ultimo antenato comune tra uomo e nudibranco resta difficile. Ma abbiamo comunque un modo per fare una stima, per quanto avrà delle barre di errore piuttosto spesse. E tanto più impariamo sui genomi moderni tanto più possiamo migliorare le nostre stime.

Attraverso gli orologi molecolari diventiamo dei detective sovrumani: indipendentemente da quanto è fredda la pista, siamo in grado di stabilire grossomodo l’ora del decesso.

Anche se arriviamo sulla scena del crimine ottocentoquarantacinque milioni di anni dopo, come nel caso della divergenza tra Homo e Nudibranchia.

Kumar, S. (2005). Molecular clocks: four decades of evolution Nature Reviews Genetics, 6 (8), 654-662 DOI: 10.1038/nrg1659

    • Grazie, Marvin, ma intendevo una sua foto nel 1962 quando ha pubblicato il suo primo rivoluzionario lavoro, non una foto più moderna di quella che ho messo 😉

  1. Avevo visto un video in cui spiegavano la tecnica per moliplicare giapponese che è straordinariamente simile come concetto a colpo d’occhio al sistema di Kimura. Tra l’altro ho conosciuto i nudibranchi grazie ad alcuni episodi di un anime molto recente che lambisce i concetti di evoluzione ma il cui troppo fanservice (anche se in teoria giustificato) mi ha fatto droppare. Mi piacciono questi collegamenti ipertestuali che si vengono a creare per caso. Inoltre pretendo un articolo sul pensiero intrusivo (dopo lo spiegone) sono certo che dietro ci siano motivi evolutivi.

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