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Come la genetica quasi ammazzò Darwin

Oggi a pranzo è saltato fuori un discorso particolare. Stavo avvertendo altri biologi della conferenza di mercoledì di Massimo Pigliucci con lo stesso distacco emotivo con cui una dodicenne parla di un imminente concerto di Justin Beiber, con tanto di squee e polso accelerato. Sebbene la platea mi fosse favorevole, almeno rispetto allo standard delle persone su cui vomito saccenza, il messaggio non mi sembrava accolto con particolare entusiasmo. Più che altro perché gli infedeli in questione non sembravano sapere chi fosse Pigliucci.

Quel gran figo di Massimo Pigliucci. Vi avviso, tutte le foto nell’articolo resto dell’articolo riguardano biologi, funzioni matematiche o insetti.

“Ma dai, è uno di quelli della sintesi estesa!” Esclamo, con quel tono che sembra voler dire “la tua ignoranza è sconvolgente”, ma che in realtà vuol sottointendere “ti compatisco”. Perché mi piace farmi amica la gente.

Così sto saccentando spiegando qua e là che cosa vuol dire sintesi estesa, quando una brillante osservazione arriva da uno dei miei interlocutori: “sintesi estesa” è, a guardarlo bene, un ossimoro. E non ci avevo mai fatto caso, una di quelle cose che si nascondono in
piena vista.

Ovviamente ossimoro non lo è poi di fatto, perché sintesi estesa si rifà nel nome alla ben più famosa sintesi moderna, quel famoso neodarwinismo degli anni 40… come sintesi di che? Non avete fatto un esame di storia della biologia? Come no? Ah invece tu si e comunque non hai idea di cosa sto parlando? Beh ma la insegnano proprio a cazzo…

In realtà sto millantando, perché non sono neanche eccessivamente sicuro di quello che sto per dire, ma se non trovo una risposta plausibile al “sintesi de che?”, Ci faccio una pessima figura.

Via, spariamola. “Eh, la sintesi moderna perché mette insieme Darwinismo e Mendel, perché non so se lo sai, ma fino agli anni venti molta gente era convinta che Mendel confutasse Darwin, la sintesi moderna ha riconciliato le due cose. ”

” Che cosa che cosa? ” occhi sgranati e sopracciglia aggrottate. ” come dovrebbe fare Mendel a confutare Darwin? “. Phew, li hai dirottati su un argomento di cui sai la risposta con certezza. E giù di prosopopea.

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Darwin e la vivisezione

Oggi è il Darwin Day, l’annuale festa dedicata a Carletto Darwin, e cercavo qualcosa di interessante da scrivere a proposito per celebrarlo in qualche modo, pur avendo bucato paurosamente le scadenze del Carnevale della Biodiversità. Fortunosamente, anche per colpa della questione dibattito scienza – movimento5stelle – e casini vari, sono andato a riscoprire un po’ il ruolo che Darwin ha avuto nella discussione del benessere animale, della ricerca scientifica e dell’antivivisezionismo suo contemporaneo.

Partiamo con una precisazione importante: ai tempi di Darwin, il termine vivisezione non era, come lo è impropriamente oggi, sinonimo di tutti i tipi di sperimentazione animale, ma indicava soltanto la vivisezione etimologicamente propria (cioè il tagliare effettivamente gli animali vivi, più che altro per studiarne la fisiologia) e la “tossicologia” (che metto tra virgolette perché era ancora nella sua infanzia, e per molti versi era una disciplina molto più chimica che biologica). Darwin stesso spesso insiste per l’uso del termine sperimentazione animale in maniera distinta da vivisezione, e visto che è il suo compleanno non gli si può certo fare un torto.

Se usassimo la più vasta definizione moderna, Darwin, che di sua mano aveva effettivamente sperimentato sui piccioni, sarebbe probabilmente da includere nei ranghi dei vivisezionisti; ma fare un ragionamento del genere non solo è sciocco perché non tiene conto del contesto storico, ma anche perché Darwin, quasi più di ogni altro, ha insistito affinché ci fosse una legislazione sulla sperimentazione, e, per certi versi, ha fondato l’interesse scientifico per per il benessere animale.

Prima di Darwin la questione più simile oggetto di dibattito era se gli animali avessero un anima oppure no; altri, in tempi più temporalmente vicini all’Origine delle specie, si interrogavano se gli animali potessero soffrire, sull’onda di Bentham; ma si trattava per lo più di dispute vuote, che arrivavano alle orecchie di chi stava nelle torri d’avorio e pochi altri.

Raramente si andava a toccare la questione del diritto dell’uomo di sfruttare gli altri animali: per il mondo vittoriano c’era, come diceva Giovanni Paolo II duecento anni dopo, un “salto ontologico”, una distinzione profonda tra l’essere animale e l’essere uomo. L’origine delle specie mostra che questo distinguo è una fregnaccia. Intanto ancora all’inizio del 1800 per le strade londinesi si giocava al cock-throw, in barba alla moderna sensibilità animalista.

Il “nobile” sport del cock-throw consisteva nel legare un gallo ad un palo, e lanciargli contro degli speciali bastoni fino ad ammazzarlo. Era considerato la versione più adatta ai bambini dei più comuni e più diffusi combattimenti tra galli. Pratiche di questo genere andarono avanti fino al 1840. La stampa qui sopra raffigurata è del 1820.  Photocredits: Wikicommons

All’inizio l’antivivisezionismo aveva motivazioni del tutto avulse al darwinismo. Ad esempio, i primi a proibire il già cock-throw nel 1660 erano stati i puritani: non per qualche particolare interesse nei confronti degli animali, ma perché questa pratica portava spesso a risse e dispute tra giocatori e tifosi. Dopo la seconda metà dell’800 oltre a Bentham e agli utilitaristi una nuova categoria si aggiungeva agli antivivisezionisti: le femministe, che spesso dicevano di essere più vicine nello spirito agli animali che agli uomini, e sentivano la violazione dei corpi animali come il risultato della stessa patriarchia che le opprimeva, tanto che, ai tempi di Darwin, femminismo e animalismo erano quasi sinonimi. Charles conosceva bene questo movimento anche perché una delle sue figlie, Etty Darwin, era in prima fila. Ma l’opinione pubblica andava cambiando, tanto che anche Darwin decise di far sentire la sua voce, per quanto avesse sempre rifuggito ogni forma di impegno pubblico e lasciasse le discussioni sull’evoluzione al suo “bulldog”, TH Huxley . Darwin in generale disprezzava ogni forma di crudeltà, tanto nei confronti dell’uomo quanto nei confronti dell’animale. Suo figlio Francis racconta come il padre fosse perseguitato dai ricordi degli schiavisti con cui aveva avuto a che vedere in Brasile, e come intervenisse contro le inutili crudeltà sugli animali:

The remembrance of screams, or other sounds heard in Brazil, when he was powerless to interfere with what he believed to be the torture of a slave, haunted him for years, especially at night. In smaller matters, where he could interfere, he did so vigorously. He returned one day from his walk pale and faint from having seen a horse ill-used, and from the agitation of violently remonstrating with the man. On another occasion he saw a horse-breaker teaching his son to ride, the little boy was frightened and the man was rough; my father stopped, and jumping out of the carriage reproved the man in no measured terms.

Del resto, una delle ragioni che portarono Darwin a perdere la fede era l’insensatezza della violenza in natura, non riconducibile ad un piano divino:

I cannot persuade myself that a beneficent and omnipotent God would have designedly created parasitic wasps with the express intention of their feeding within the living bodies of Caterpillars.

Non è però corretto sostenere che Darwin fosse una specie di attivista per i diritti degli animali ante-litteram: quello a cui più di tutto Darwin era interessato era una riduzione della sofferenza. Scrivendo allo zoologo di Oxford Ray Lankaster nel 1871, in richiesta della sua opinione sulla vivisezione, Darwin rispondeva:

You ask about my opinion on vivisection. I quite agree that it is justifiable for real investigations on physiology; but not for mere damnable and detestable curiosity. It is a subject which makes me sick with horror, so I will not say another word about it, else I shall not sleep to-night.

Come la stragrande maggioranza della comunità scientifica moderna, Darwin era convinto che la vivisezione e la ricerca animale fossero una attività vitale per lo sviluppo della scienza medica e della fisiologia, ma con rispetto dell’animale e minimizzando ogni forma di dolore inutile. Per questo, quando nel 1874 scoppiò il caso vivisezione nel Regno Unito, Darwin entrò in campo. Il 13 agosto del 1874 Eugene Magnan, un fisiologo francese, con quattro colleghi britannici, aveva partecipato ad una dimostrazione fisiologica agghiacciante sull’effetto dell’assenzio sul sistema nervoso centrale. Dei cani venivano immobilizzati e l’alcool iniettato direttamente in arterie precedentemente incise, mentre gli animali erano pienamente coscienti. Il direttore del Royal College of Surgeons in Irlanda, Thomas Joliffe Tufnell, che era presente, tentò di interrompere la crudele dimostrazione, ma la questione fu messa ai voti, e la procedura andò avanti. Tufnell, adirato, riportò la storia nel British Medical Journal, allora come oggi una delle più importanti testate mediche al mondo, e i fisiologi furono rapidamente messi alla gogna pubblica e portati a processo per via di questo abuso. O almeno, quelli inglesi: Magnan era già scappato in Francia al momento del processo. La questione entrò così nei salotti vittoriani, e gli antivivisezionisti poterono sfruttare il favore dell’opinione pubblica per partire alla carica. In cima alla lista c’era Frances Power Cobbe, una scrittrice femminista e animalista, che, anche tramite Etty, convinse Darwin a collaborare con la neofondata National Anti-Vivisection Society. Darwin era però preoccupato dai dettagli dell’ ” Act to amend the Law relating to Cruelty to Animals”, la legge che Cobbe, con l’appoggio di alcuni membri del parlamento, aveva iniziato ad abbozzare. In una lettera a sua figlia del 4 gennaio 1875 scrive a cuore aperto:

Your letter has led me to think over vivisection for some hours, and I will jot down my conclusions, which will appear very unsatisfactory to you. I have long thought physiology one of the greatest of sciences, sure sooner, or more probably later, greatly to benefit mankind; but, judging from all other sciences, the benefits will accrue only indirectly in the search for abstract truth. It is certain that physiology can progress only by experiments on living animals. Therefore the proposal to limit research to points of which we can now see the bearings in regard to health, etc., I look at as puerile. […] I would gladly punish severely any one who operated on an animal not rendered insensible, if the experiment made this possible; but here again I do not see that a magistrate or jury could possibly determine such a point. Therefore I conclude, if (as is likely) some experiments have been tried too often, or anaesthetics have not been used when they could have been, the cure must be in the improvement of humanitarian feelings. […] If stringent laws are passed, and this is likely, seeing how unscientific the House of Commons is, and that the gentlemen of England are humane, as long as their sports are not considered, which entailed a hundred or thousand-fold more suffering than the experiments of physiologists–if such laws are passed, the result will assuredly be that physiology, which has been until within the last few years at a standstill in England, will languish or quite cease.

Che fare, dunque ? Come assicurarsi che la legislazione potesse essere scritta in maniera sensata, tale da tutelare sia gli animali che il progresso scientifico, senza che nessuno dei due fosse vittima dell’ipocrisia vittoriana ? Darwin, insieme a suo genero Robert Litchfield, scrisse un nuovo e diverso disegno di legge, la “Playfair bill”,  dal nome del Dr. Lyon Playfair, che la propose effettivamente in Parlamento. Questa nuova bozza aveva almeno un paio di differenze importanti dalla proposta originale: non solo l’anestesia era richiesta in ogni occasione in cui fosse possibile, ma la vivisezione a fini dimostrativi, nelle scuole veniva completamente abolita. Cobbe non faceva questo genere di distinzione tra esperimento nuovo e semplice dimostrazione, e avrebbe condannato ogni forma di sperimentazione animale. La legge seguiva in maniera ragionevole le guidelines elaborate dalla British Society For The Advancement of Science (BAAS): Darwin scrisse ad Huxley che non solo le trovava il miglior compromesso possibile, ma anche la soluzione più umana. L’anno successivo, il 1876, vide il passare alla storia del  ” Cruelty To Animals Act “, su cui molto pesava la mano spirituale di Darwin, e che rimase la principale normativa in tema per quasi 110 anni. Per Cobbe questo non era tuttavia abbastanza. I due ebbero una piccola diatriba tramite lettere sul Times: la medesima questione della vivisezione stava nascendo in Svezia, e il Professor Homlgren, di Upsala, chiedeva pubblicamente un’opinione a Darwin. Questi, nella lettera pubblica, scrisse:

I have all my life been a strong advocate for humanity to animals, and have done what I could in my writings to enforce this duty. Several years ago, when the agitation against physiologists commenced in England, it was asserted that inhumanity was here practised and useless suffering caused to animals; and I was led to think that it might be advisable to have an Act of Parliament on the subject. […] On the other hand I know that physiology cannot possibly progress except by means of experiments on living animals, and I feel the deepest conviction that he who retards the progress of physiology commits a crime against mankind. Any one who remembers, as I can, the state of this science half a century ago must admit that it has made immense progress, and it is now progressing at an ever-increasing rate.

Darwin aveva già perso fiducia nei confronti di Frances Cobbe quando quest’ultima aveva editato senza il suo permesso una sua lettera prima della pubblicazione. Intanto il movimento antivivisezionista si aggiungevano nuove voci. Darwin ebbe senza dubbio una grande influenza in ciò: come facile esempio basta riportare le parole di Thomas Hardy che, nel 1909, scriveva:

 the practice of vivisection which might have been defended while the belief ruled that men and animals are essentially different, has been left by that discovery (la selezione naturale, ndr) without any logical argument in its favour

Ma la gran parte dei nuovi oppositori tra la fine dell’800 e gli inizi del 900 non avevano molto di darwinista, e neppure molto di scientifico. In primis, c’erano i socialisti, che vedevano gli scienziati come un elité e la scienza come strumento di oppressione governativa; dall’altro lato, stava nascendo un rigurgito anti-scienza, alimentato dalle sperimentazioni sull’uomo (e sugli animali) dell’inoculazione inventata da Pasteur, che veniva dipinto dall’opinione pubblica come una specie di Frankenstein. Nel 1883, ad esempio, quando il governo Francese premiò Pasteur per il suo lavoro, fu lanciata di rimando una campagna internazionale che eguagliava vaccinazione e vivisezione e che, tra le altre cose, diceva che

” […] science does not recognize in the great discoveries of M.Pasteur anything but the tissue of a dogmatic conception more likely to ruin than to enrich the country that would adopt them. ” 

Fortunatamente, queste campagne, più che scoraggiare la vivisezione, finirono per pubblicizzare l’inoculazione e le scoperte di Pasteur ancora maggiormente, permettendo le prime vaccinazioni di massa. Sfortunatamente, hanno finito per polarizzare ancora di più gli animi. Molti fattori sono entrati in gioco nel miglioramento delle condizioni degli animali e nella rivendicazioni dei loro diritti nella storia; è un peccato che l’impegno di un grande della storia come Darwin venga dimenticato.

Feller DA (2009). Dog fight: Darwin as animal advocate in the antivivisection controversy of 1875. Studies in history and philosophy of biological and biomedical sciences, 40 (4), 265-71 PMID: 19917485

Darwin, C (1881). Mr. Darwin on Vivisection Nature, 23 (599), 583-583 DOI: 10.1038/023583a0

Anassagora, Darwin e i neutrini: come sappiamo da quando brilla il sole

Secondo round di spiegone su come sappiamo le risposte a certe domande considerate “banali”; dopo ” da dove vengono i bambini “; Questa volta, c’è per voi  una breve storia di come siamo arrivati a capire perché, come, e da quando il sole ci illumina e riscalda.

Cominciamo dall’inizio. Gli antichi egizi pensavano che il sole fosse una palla di fuoco.  Il sole per loro era anche l’incarnazione di una divinità, e per questo motivo non si ponevano il problema di cosa lo alimentasse: una palla di fuoco si adattava alla loro esperienza quotidiana, la divinità pensava alla parte celeste, e bon, eran tranquilli così.

Nel quinto secolo d.C. , Anassagora, il filosofo greco, fece un’interessante osservazione. Trovò una roccia, una stella cadente, che si era appena schiantata. Era un grumo di metallo, ancora così caldo e bollente che arrivò alla conclusione che poteva soltanto venire dal sole. Di conseguenza, elaborò un ipotesi sempre traendo spunto dalla sua esperienza quotidiana: il sole deve essere un ferro arroventato.

Il ferro incandescente emette un sacco di luce. L’idea di Anassagora non era così folle, dopotutto.

Quest’idea restò la più diffusa nel mondo occidentale per quasi duemila anni, nonostante Anassagora fosse stato accusato di empietà e, conseguentemente, osteggiato. Aveva proposto, insieme alla sopracitata ipotesi del ferro arroventato, che il sole non fosse diverso dalle altre stelle, ma soltanto più vicino, il che non si sposava bene con le idee religiose del tempo.

Nel sistema tolemaico, con la terra al centro, il sole non era trattato come le altre stelle, ma più come un pianeta. Infatti, come gli altri pianeti, sembrava muoversi rispetto allo sfondo di stelle fisse.  Non c’era particolare riferimento al suo carburante o alla sua sostanza, dal momento che continuava a esistere la mentalità secondo la quale le cose del cielo e della terra fossero ben distinte. Per via del fatto che l’Almagesto, l’opera principale di Tolomeo, resterà il testo astronomico standard per un millennio e mezzo, la questione di cosa alimentava il sole non sarà ulteriormente eviscerata per un bel po’ di tempo.

Poi, nel 1700, arrivò uno dei miei naturalisti preferiti di sempre: Georges Louis Latrec, Compte di Buffon, meglio noto con il semplice titolo Buffon. Buffon aveva una conoscenza enciclopedica dell’anatomia comparata, e sapeva che tanti dei fossili che cominciavano ad essere notati sempre più frequentemente non potevano essere di specie attuali: nonostante quello che sosteneva la chiesa, le specie si estinguevano,e i fossili non potevano essere soltanto il risultato del diluvio universale.  Nel 1717 Buffon pubblica  le “ Les Epoques De La Nature “: stabilisce che il mondo ha circa 75000 anni, e distingue 7 età della terra, ciascuna distinguibile per la sua particolare fauna.

Buffon viene attaccato da ogni parte da teologi e letterati, per cui il mondo non ha più di 6000 anni: solo la sua amicizia con il Re lo protegge da gravi ripercussioni.  Sfortunatamente per i suoi avversari, Buffon era uno scrittore brillante e avvincente, accessibile a chiunque, e la divulgazione della scienza era il suo pallino: il suo libro successivo, l’Historie Naturelle, diventa rapidamente il libro più letto in Francia, un mega-best seller. Ah, l’Illuminismo. Bei tempi.

Improvvisamente Buffon, rifacendosi alla geologia, aveva decuplicato l’età della terra. Ma decuplicare l’età della terra, significava decuplicare l’età del sole:  e per mantenere un ferro rovente rovente, una fornace deve continuamente essere alimentata col carburante.  Che cosa poteva farlo funzionare così a lungo ? La domanda si faceva sempre più pressante.

Mezzo secolo dopo, con Lyell e Darwin, improvvisamente non si parla più di centinaia di migliaia di anni, ma di milioni: eppure niente nelle leggi della fisica conosciute al tempo poteva spiegare come il sole avesse bruciato così a lungo.

Nel 1850, John James Waterston, un giovane fisico scozzese che faceva rilievi geologici per le ferrovie, realizza, mentre sta sviluppando una teoria cinetica dei gas, che, in base alle equazioni sulle radiazioni termiche di Macedonio Melloni, nessun carburante chimico poteva alimentare il sole da più di diecimila anni.

Macedonio Melloni: fisico, rivoluzionario, patriota, persona con delle iniziali elegantissime.

Macedonio Melloni (nome EPICO) era un fisico italiano, che, quando non veniva cacciato in esilio perché membro di movimenti rivoluzionari e indipendentisti, lavorava sulle sorprendenti somiglianze tra la propagazione della luce e la propagazione del calore radiante.  Questo si propaga come la luce, con tanto di rifrazione e riflessione,  perché è luce infrarossa; MM, pur senza aver nessun background teorico che gli permettesse di arrivare alla conclusione moderna (la natura della luce era ancora largamente dibattuta) aveva sviluppato delle equazioni, che empiricamente, funzionavano piuttosto bene.

Waterston, però, confidava nelle prove dei naturalisti e della geologia: ci deve essere un’altra sorgente di energia per il sole. E l’unico candidato possibile ai tempi doveva essere la forza di gravità: forse, grazie alla sua grande massa, il sole poteva attirare e assorbire rocce come carburante.  L’idea sembrava brillante, ma una volta sottoposta al vaglio di calcoli più precisi basati su osservazioni astronomiche, si rese conto che non c’erano abbastanza meteore note nel sistema solare perché la differenza fosse rilevante. Se anche il sole avesse assorbito Mercurio e Venere, ciascuno dei pianeti avrebbe prolungato la sua vita di poco più di un secolo.

Ma, come ho accennato, Waterstone stava sviluppando una teoria cinetica dei gas.  Così tirò fuori un’altra idea brillante: sapeva per certo che un gas, compresso, aumenta di temperatura. Quindi, immaginò che il sole stesse collassando su se stesso, producendo calore di conseguenza. Convinto che la sua ipotesi potesse salvare la geologia, presentò la sua idea al convegno annuale della British Association for The Advancement Of Science nel 1853. Sfortunatamente per lui, non molti lo presero sul serio, e la sua teoria cinetica dei gas passò inosservata per almeno altri vent’anni. Ma nel pubblico c’era un certo William Thomson, meglio noto come Lord Kelvin, e Waterstone riuscì a far breccia nella sua mente.

William Thomson, altrimenti noto come Lord Kelvin, uno dei più grandi fisici della storia. Questo non gli impedirà di essere in torto marcio nella sua opposizione a Darwin.

Kelvin elaborò una teoria di come il sole potesse collassare su se stesso producendo il massimo calore possibile per il periodo più lungo possibile. Inizialmente, tirò fuori una stima di 100 milioni di anni,  che poi andò riducendo progressivamente col passare degli anni, un po’ per convinzione, un po’ per girare il coltello nella piaga dei naturalisti.

Darwin restò terrorizzato dalla stima di Thompson. Tolse ogni riferimento a possibili scale temporali nelle edizioni “ On The Origin Of The Species “, successive alla prima analisi di Thompson; e restò così inquietato da scrivere a Wallace, l’altro scopritore della selezione naturale, che la questione dell’età della terra era “ uno dei miei guai più gravi “.

Anni dopo, Lord Kelvin ridusse nuovamente l’età del sole: l’astro non poteva avere più di 25 milioni di anni, il che rendeva il conflitto tra l’evoluzione e la geologia da un lato, e la fisica dall’altro, ancora più marcato. Qualcuno doveva sbagliarsi, o quantomeno doveva aver  tralasciato qualcosa.

Una delle (tante) profezie sbagliate di Kelvin era che i raggi X si sarebbero rivelati una truffa, una frode. Cambiò idea successivamente, quando Roentgen, lo scopritore, gli fece una radiografia alla mano, ma in ogni caso non si rese conto che nelle radiazioni c’era la soluzione del paradosso dell’età del sole.

Lo capì Rutherford, l’uomo che per primo riuscì a identificare la struttura dell’atomo. Rutherford aveva identificato diversi tipi di radiazione atomica. La radiazione alfa era fatta di particelle, che si scoprì in seguito essere i nuclei di atomi di elio. L’osservazione fu fondamentale, perché spiegava come nei minerali che contenevano uranio spesso si trovavano tracce di questo gas nobile: era l’uranio stesso che li generava. E più venivano generate particelle alfa, più energia (e calore) venivano emesse. Con la scoperta del radio, che emette a tal punto da essere caldo al tatto, sembrava ormai ovvio che i calcoli di Lord Kelvin avevano ignorato qualcosa di importante.

Una volta realizzato che gli elementi radioattivi possono emettere energia continuamente, senza bisogno di ricevere carburante dall’esterno, gli astronomi si misero immediatamente cercare di capire se era possibile che il sole fosse radioattivo. William Wilson, nel 1903, calcolò che bastassero pochi grammi di radio per metro cubo di sole perché questi irradiasse tanta energia quanto ne arrivava sulla  terra.

Purtroppo, parafrasando T.H. Huxley , questa bellissima ipotesi verrà  annientata da un brutto dato di fatto.  Le prime spettroscopie del sole mostravano che non c’era traccia di radio nella sua composizione, ma la sua composizione era quasi esclusivamente costituita da elio, che, non a caso, prendeva il nome di Helios, il dio del sole.

Ernest Rutherford. ” Tutta la scienza è fisica o collezione di francobolli “, amava dire; e conseguentemente vinse il Nobel per la chimica nel 1908.

Niente radio, ma molto elio. Rutherford e gli altri sapevano che il decadimento radioattivo di certi elementi produceva particelle alfa, cioè nuclei di elio, ma di essi non vi era traccia nello spettro solare. Se l’elio era la “cenere” di una “combustione”, o il carburante era completamente nuovo, o il tipo di combustione era completamente nuovo.

Sir Arthur Eddington, professore di astronomia a Cambridge, fu uno dei primi a comprendere la teoria della relatività di Einstein, e la sua famosa “E=mc^2”, tanto da organizzare una spedizione sull’isola di Principe, in Africa, per osservare l’eclissi solare del 29 maggio 1919, dando una prima conferma empirica diretta della validità delle equazioni einsteiniane.

Nel 1920, Eddington riceve notizie dal suo collega Francis Aston, che lavorava nel Cavendish Laboratory, sempre a  Cambridge. Quest’ultimo aveva appena scoperto che l’atomo di elio pesa 1/120 meno di quanto dovrebbe pesare se fosse la semplice somma di quattro atomi di idrogeno.

Eddington ebbe immediatamente un’illuminazione su come funzionava la luce solare. Tutto quell’elio era la cenere di una nuova forma di combustione dell’idrogeno, il più semplice degli elementi! Ogni volta che quattro protoni si fondevano nel nucleo del sole, quel centoventesimo di massa extra diventava luce e calore solare, e dal momento che E=mc^2, e c^2 è un numero mooooooolto grande, il sole poteva avere centinaia di milioni, o addirittura miliardi di anni.

Eddington aveva avuto l’intuizione giusta, ma i dettagli non erano ancora ben chiari, e sebbene in apparenza il conflitto Darwin-Kelvin fosse rimosso, ancora non c’era una chiara idea dell’età del sole, e di come il combustibile venisse bruciato.

La soluzione, almeno teorica, arriverà solo vent’anni dopo, con Hans Bethe. A temperature di milioni di gradi, come nel centro del sole, gli atomi di idrogeno vengono sbriciolati nelle loro componenti più basilari: elettroni e protoni. Quando questi protoni si schiantano tra di loro, è possibile che avvenga una fusione nucleare. Ma due protoni che si scontrano non formano un atomo di elio: serve una reazione a catena, la così detta “catena pp” (dove pp sta per protone-protone).

Un diagramma della catena pp. La descrizione è nel testo; qui ci sono indicati anche i tempi medi di reazione. Beta+ sono i positroni espulsi, gamma i fotoni e nu (quella roba che sembra una v) i neutrini. Credits: http://csep10.phys.utk.edu/

Inizialmente, due protoni collidono e fondono insieme, creando un deuterone: un insieme instabile di un protone e un neutrone. La carica del protone che è diventato un neutrone viene conservata espellendo un positrone (che è l’antiparticella dell’elettrone, e, come tale, ha la stessa carica, ma positiva invece che negativa) e un neutrino. Il deuterone si trova affogato in una folla di protoni, e ne assorbe immediatamente uno, formando un nucleo di elio-3 (2 protoni e un neutrone). Infine, finalmente, due nuclei di elio 3 si fondono tra di loro, formando la forma stabile di elio, l’elio 4, con due protoni e due neutroni, e espellendo 2 protoni extra. Il risultato finale è che i quattro protoni iniziali sono arrivati ad essere un singolo atomo di elio quattro, emettendo energia sottoforma di positroni, fotoni e neutrini.

Con un colpo di genio, Bethe aveva finalmente trovato un processo nucleare teoricamente comprensibile al suo tempo, che potesse produrre la giusta quantità di calore, che potesse alimentare il sole per la giusta quantità di tempo, e che facesse tornare i conti sia ai fisici che ai geologi.

Tutto molto bello, ma anche niente di empirico: dov’era la prova che la catena pp era quello che realmente avveniva nel sole, e non semplicemente un’altra bella ipotesi in attesa di un brutale dato di fatto che l’annientasse ? C’era solo un modo per dimostrare empiricamente che questo era il processo giusto: trovare i neutrini che venivano emessi durante la catena di fusione.

Peccato che, nel 1939, il neutrino fosse una particella del tutto teorica, inventata da Pauli e Fermi circa 10 anni prima semplicemente per far quadrare i conti, e che, per via delle sue proprietà sfuggenti, era quasi impossibile da rilevare.

Quasi impossibile, nel dizionario dei fisici, significa molto interessante. Così, ebbe inizio una caccia alla particella inafferrabile, in un epopea che ricorda, almeno per certi versi, la moderna caccia ad un’altra particella teorizzata per decenni prima di essere (forse) rilevata sperimentalmente, il  dannato bosone di Higgs. La storia della caccia ai neutrini è avvincente e interessante di per sé, e la conservo per un futuro post; vi basti sapere che per quarant’anni le rilevazioni sono sempre state sempre più o meno inconcludenti, finché non è entrata in gioco la Big Science.

Alla fine degli anni ‘80, in Europa, con l’esperimento internazionale GALLEX (Gallium Experiment), un rilevatore contenente metà produzione annuale mondiale di Gallio, viene installato nelle profondità del Gran Sasso.  L’altra metà finisce in un altro rilevatore nelle profondità del caucaso, sponsorizzato da USA e Unione Sovietica, il SAGE (Soviet-American Gallium Experiment).

Nel 1997 vengono pubblicati i risultati degli esperimenti, che per la prima volta riescono a rilevare neutrini solari a bassa energia (nel mentre, dei neutrini erano già stati osservati negli anni 60, ma prodotti da reattori nucleari, non dal sole). Le rilevazioni dei due esperimenti si sposano perfettamente con i modelli previsti dalla catena pp. Per la prima volta nella storia dell’uomo,  avevamo una linea diretta con il nucleo del sole.

Voglio ripetervelo, perché non so se vi è chiaro: guardando degli scintillii su dei rilevatori nelle profondità della terra, possiamo vedere quello che succede nel nucleo del sole, e sapere con certezza perché e come che Darwin aveva ragione e Kelvin torto.

Queste sono le storie di fisica che preferisco: quelle che danno ragione ai biologi.

Taylor, K. (2001). Buffon, Desmarest and the ordering of geological events in epoques Geological Society, London, Special Publications, 190 (1), 39-49 DOI: 10.1144/GSL.SP.2001.190.01.04

Brush, S. (1957). The development of the kinetic theory of gases Annals of Science, 13 (4), 273-282 DOI: 10.1080/00033795700200151

Bethe, H. (1939). Energy Production in Stars Physical Review, 55 (1), 103-103 DOI: 10.1103/PhysRev.55.103