Ho un problema.
Quando gifh mi ha invitato a partecipare al Carnevale della Chimica mi sono sentito, ovviamente, onorato.
Ma il tema, “ La Chimica del Futuro “, mi mette un po’ nei guai.
In primis perché, di fatto, di chimica non è che ne capisca poi così tanto. Ma soprattutto perché del futuro, io, non ne so assolutamente nulla. Già faccio fatica a capire il passato, con tutti i suoi fatti ordinati uno dietro l’altro, figuriamoci cosa può essere il futuro che neppure è ancora accaduto, nel suo vortice di infinite possibilità.
Isaac Asimov, per quanto sia stato incredibilmente avanti sui tempi ed abbia profetizzato svariate tecnologie e cambiamenti sociali che sono poi diventati realtà, lamentava che :
“Predicting the future is a hopeless, thankless task, with ridicule to begin with and, all too often, scorn to end with.”
E se c’è un genere di lavoro che non mi piace è quello ingrato e senza speranza. C’è un solo modo per salvarmi da questa Kobayashi Maru: barare.
C’è un tipo di futuro che è già accaduto, e che mi permette di navigare in acque per me più tranquille: il futuro previsto, immaginato, disegnato e desiderato da generazioni precedenti alle nostre che, un po’ come facciamo noi, caricavano il l’avvenire con i loro desideri e le loro paure.
E la chimica, di speranze ma anche di paure, ne ha sempre generate tante.