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Le Vestiges e l’origine delle pseudoscienze

In 1844, Robert Chambers, un autore ed editore scozzese, pubblicò un libro di storia naturale, Vestiges of The Natural History Of Creation (tradotto in italiano in tiratura assai limitata come Storia Naturale della Creazione) in forma totalmente anonima.

Il frontespizio della prima edizione

Il frontespizio della prima edizione

Nel libro, Chambers sostiene che tutti gli organismi, inclusi gli esseri umani, sono il risultato di un lungo, lento processo di sviluppo da materia inorganica verso forme primitive e via via più complesse. Nella sua opera Chambers ricicla pezzi da ogni sorta di fonte, dalla nascente geologia al tradizionale folklore britannico, passando per i filosofi naturali illuministi. Da Kant e Laplace ad esempio prende in prestito l’ipotesi delle nebulose, sostenendo che l’universo intero si era condensato da semplice gas; descrive come la condensa sui vetri sgocciolando forma strutture indistinguibili dalle felci; narra di come riesce a far nascere insetti da scintille elettriche, e di come gli esseri umani non sono la forma finale di questo processo di, ehm, evoluzione, ma che una futura “razza superiore” potrebbe sostituirci. Il libro, anche grazie ad una scrittura considerata brillante, fu un grande successo editoriale e di pubblico, ma detiene anche un interessante primato: è uno dei primi libri nella storia ad essere descritto con il termine pseudoscienza.

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Le api e il sesso (ma niente fiori)

Il caro Alberto mi scrive:

Cara Prosopopea,
visto che ami gli insetti e l’ape è un insetto figo volevo porti questo spunto di possibile articolo/spiegone: Ho scoperto oggi che il fuco nasce da un uovo non fecondato per cui ha un corredo aploide, diciamo n. Sua sorella futura regina ha un corredo diploide 2n (frutto dell’unione fra regina madre e vecchio fuco). Quindi se la vecchia regina si accoppiasse con suo figlio creerebbe un clone di se stessa?

Avendo promesso di risponderti, e avendo un po’ di ritardo rispetto a questa promessa, ho deciso di darti 2 risposte, un pochettino diverse, in mezzo ad un po’ di contesto e spiegoneria.

La prima risposta, quella breve, è no.

La seconda risposta è un pochettino più complicata, e la dividiamo in 3 parti: Quando, Perché e Come.

Negli esseri umani il sesso è determinato dalla presenza o l’assenza dei cromosomi X e Y, come certamente sapete. Gli imenotteri, il gruppo di insetti che include api, vespe e formiche funziona in maniera differente, ma ciò non toglie che un sacco di cose che sappiamo sulla determinazione del sesso, storicamente parlando, viene dagli insetti.

Partiamo quindi dal Quando. (Alberto caro, se non volevi il pippotto storico ti conveniva chiedere ad altri.)

Nel 1845 un prete cattolico, Johann Dzeirzon, si rende conto che se durante il volo nuziale l’ape regina resta vergine la sua progenie contiene solo maschi. Evidentemente era particolarmente recettivo all’idea di immacolata concezione. Può sembrare una osservazione da poco o poco interessante, ma tenete presente che si tratta del primo metodo di determinazione del sesso trovato empiricamente. Del resto, l’idea imperante all’epoca era ancora quella di Aristotele, secondo la quale il sesso del nascituro dipendeva dalla temperatura dello sperma paterno. L’idea è quasi giusta per certi rettili, ma veniva indiscriminatamente applicata a ogni animale, uomo incluso. Tieni anche presente che questa osservazione arriva almeno 50 anni prima della scoperta dei cromosomi sessuali, prima della scoperta dei cromosomi in generale, e prima che fosse chiaro in alcun senso il collegamento tra quegli strani bastoncelli che si coloravano e l’ eredità genetica.

Dzierzon in un ritratto del 1901. Questo padre dell’agricoltura moderna era un piantagrane non da poco, e per via del suo coinvolgimento in politica, del suo rifiuto dell’infallibilità papale e della sua scoperta della partenogenesi nelle api (che a quanto pare non piaceva alla chiesa) fu scomunicato nel 1873.

Dal momento che, come ho accennato altre volte, fissare i cromosomi su un vetrino era un bel casino perché ci volevano tante cellule in divisione, gli animali con un ciclo vitale veloce erano preferiti. Cosi’, mentre qualcuno si focalizzava sui girini di anfibi vari o vermi piatti, un biologo tedesco di nome Hermann Henking si mise nel 1880 a lavorare con le vespe. Con il suo primitivo microscopio ottico si rese conto che negli spermi di vespa ogni tanto ci sono 12 cromosomi invece di 11. Seguendo una antica tradizione,dal momento che non riusciva a capire bene che cosa fosse questo cromosoma estraneo, decise di battezzarlo fattore X. Il tuo cromosoma X si chiama X, caro Alberto, per merito (colpa?) delle vespe di Henking.

Il cromosoma X non è a forma di X più di qualsiasi altro cromosoma, per quanto un sacco di gente sia convinta che il nome venga dalla forma. Photocredits: Winona State University, winona.edu

Henking per la verità intuì subito che quel cromosoma extra poteva avere a che fare con il sesso, ma per confermare la sua idea si mise a caccia di un equivalente fattore X nei grilli. Purtroppo per lui, sebbene nel 20% delle specie animali la determinazione del sesso funziona come le vespe i grilli utilizzano un altro sistema, e la sua ricerca si rivelo’ infruttuosa.

Agli inizi del ‘900, però, la sua intuizione fu confermata e l’X trovato in molte altre specie, uomo e api incluse. Sapendo che tutte le api operaie erano femmine e sorelle, i maschi nascevano senza che la madre si accoppiasse, e che c’era di mezzo il fattore X, si dedusse infine che le api (e le vespe e le formiche) determinavano il loro sesso per aplodiploidia.

Mentre nell’essere umano, indipendentemente dal sesso, tutti hanno due copie dei  cromosomi non sessuali (altrimenti detti autosomi), nelle api hai bisogno di due copie di tutto per essere femmina, mentre se ne hai una sola sarai solo un fuco.

Il che da’ origine a tutta una serie di paradossi per chi e’ abituato ai nostri standard di genealogia. Un fuco non ha un padre (perché se lo avesse sarebbe femmina), ma ha un nonno (perché sua Nonna, la regina madre, si e’ dovuta accoppiare con un maschio per generare mamma), e a sua volta non avrà mai figli maschi (se si accoppia tutto quello che feconda diventerà femmina, e con le uova non fecondate, che diventano maschi, non avrà mai a che fare), ma potrà avere nipoti maschi.

Ma, nonostante ciò, caro Alberto, un fuco non è un clone di sua madre, ne del nonno. Un clone, come due gemelli omozigoti, ha esattamente lo stesso genoma della sua sorgente. Quando l’ape regina fa le sue uova, le fa comunque per meiosi, e durante questa divisione i cromosomi si ricombinano e mischiano con il crossing over. Quindi un fuco sarà un po’ sua madre e un po’ suo nonno, ma mai un clone dei due.

Questo è l’endofallo del fuco, rivoltato come un guanto da un bravo apicoltore che ne vuol cogliere lo sperma ben indicato nella foto. Non c’entra con il discorso al momento ma ci tenevo che lo vedessi, caro Alberto. Photocredits: UC Davis Department of Entomology

Per rispondere specificamente alla tua domanda, se la regina madre si accoppia con suo figlio, maschio aploide, succede questo.
Il gamete maschile, aploide, contiene i geni della regina madre, ma ricombinati tra le due copie (che vengono da sua mamma e da suo nonno) quando la regina madre ha fatto per meiosi l’uova del fuco futuro marito.
L’uovo della regina contiene anch’esso i geni della regina madre, ma ricombinati anch’essi non solo tra loro per meiosi, ma anche con i geni del fuco, che i realtà sono i geni di mamma e nonna.
Se la cosa va avanti per tante generazioni diventa un problema, come al solito negli incroci tra consanguinei, ma le varie ricombinazioni omologhe impediscono che si arrivi ad un clone.  (Ti farà però piacer sapere che ci sono specie in cui può avverarsi il tuo scenario, con generazione di cloni: la madre deve essere però aploide. Succede, ad esempio, in certi afidi)

Anzi, a dirla tutta, l’ape regina è più imparentata con le sue sorelle che con le sue figlie , e qui si passa al perchè il sesso delle api funziona cosi, e ciò addirittura si collega al perché le api hanno una regina e una gerarchia tutta strana.

Darwin nell’Origine delle Specie scrive una di quelle cose che ai Creazionisti piace citare a sproposito fuori dal contesto:

I […] confine myself to one special difficulty, which atfirst appeared to me insuperable, and actually fatal to my whole theory. I allude to the neuters or sterile females in insect-communities:  for these neuters often differ widely in instinct and in structure from both the males and fertile females, and yet, from being sterile, they cannot propagate their kind.

Mi limito ad una particolare difficoltà, che all’inizio mi sembrava insuperabile, e a dire il vero fatale per la mia intera teoria. Alludo alle formiche operaie o sterili: poiché queste sono differenti nella struttura sia dai maschi che dalle femmine fertili, eppure, essendo sterili, non possono propagare i loro caratteri.

” Ohibo’ ! Le api distruggono la Teoria dell’evoluzione ” dice a questo punto il creazionista sprovveduto, dimenticandosi “”‘misteriosamente”””  di leggere i paragrafi successivi, in cui Darwin propone la sua soluzione, di cui metto un estratto piccino picciò considerato che Carletto è un poco verboso:

It will indeed be thought that I have an overweening confidence in the principle of natural selection, when I do not admit that such wonderful and well established facts at once annihilate my theory. In the simpler case of neuter insects all of one caste or of the same kind, which have been rendered by natural selection, as I believe to be quite possible, different from the fertile males and females, in this case, we may safely conclude from the analogy of ordinary variations, that each successive, slight, profitable modification did not probably at first appear in all the individual neuters in the same nest, but in a few alone; and that by the long-continued selection of the fertile parents which produced most neuters with the
profitable modification, all the neuters ultimately came to have the desired character.

Si penserà che ho una fiducia smisurata nel principio della selezione naturale vedendo che mi rifiuto di ammettere che tali meravigliosi e ben noti fatti distruggono completamente la mia teoria. Nel caso più semplice di insetti sterili della stessa casta o dello stesso tipo, che devono essere stati resi differenti dai maschi e dalle femmine fertili, come io credo, dalla selezione naturale, possiamo dire per analogia con gli altri tipi di variazioni che ciascuna modifica successiva, leggermente favorevole non è apparsa in tutti gli individui sterili in un singolo nido, ma solo in pochi; e per lunga e continua selezione dei genitori fertili che producevano più figli sterili con le modificazioni profittevoli, tutti gli sterili alla fine hanno sviluppato il carattere desiderato.

(Capitolo 7, Istinto)

Darwin in realtà, come spesso succede, si sbaglia nei dettagli, ma l’intuizione giusta di fondo c’è.

Le api operaie non sono sterili, e anzi ogni tanto depositano di nascosto qualche uovo. Per fortuna, però, il servizio di sicurezza interno funziona quasi sempre perfettamente, la larva viene cannibalizzata e la femmina uccisa per il suo crimine. Per il bene di tutti.

Le api sono animali eusociali: cioè formano vere società con gerarchie, caste, generazioni che convivono tra loro e altruismo.

Altruismo che funziona ed esiste perché i geni delle api sono egoisti.

L’idea si basa sulla teoria della Fitness inclusiva di W.D Hamilton, resa celebre da Dawkins nel libro, ehm, Il Gene Egoista.

La fitness, in gergo evolutivo, è la misura ideale di quanto un organismo è adatto al suo ambiente. Siccome questa è una cosa difficile da misurare, anche perché include un sacco di idee abbastanza astratte, come surrogato per stimare la fitness si guarda a quanta prole ha una coppia. Se hai piu’ figli che sopravvivono meglio e competono con piu’ successo significa che i tuoi geni saranno sparsi in giro di piu’, cioè, in un certo senso, sei piu’ adatto al tuo ambiente.

Se guardiamo a questa idea pensando agli individui, però, non ha senso quello che fanno le api. Perché io, ape operaia, dovrei sopportare il fatto che le altre mi cannibalizzino i figli, mentre la regina fa uova ovunque?  Non sarebbe meglio una rivoluzione operaia che permetta alle sorelle di diventare proletarie?

La ragione per cui la risposta è no sta nell’aplodiploidia, nei maschi senza padre di cui abbiamo parlato prima, ma il segreto sta nel guardare la situazione come se fossimo geni che vogliono dominare il mondo.

Tu, caro Alberto, condividi circa il 50% dei geni con i tuoi genitori e con i tuoi eventuali fratelli e sorelle. Ma tu sei diploide.

L’ape regina, come tua madre, passa il 50% dei geni alle sue figlie (l’altra metà sarà del fuco). Ma, dal momento che la mamma della regina e’ diploide, ma il papà ha solo la metà dei cromosomi, condivide con le sue sorelle il 75% dei geni. Cioè, a dirla in un altro modo, è piu’ imparentata con le sorelle che con le figlie.

Diciamo ora che sei un gene egoista. A te non frega nulla degli altri geni, o dei desideri di maternità dell’ape operaia: vuoi solo diffonderti il piu’ possibile nella popolazione, vuoi essere in tutte le generazioni future.

Hai due strategie. Se sei egoista ma un po’ scemo, allora cercherai di costringere il tuo organismo a fare piu’ figlie possibili. Ogni volta hai il 50% di probabilità che una copia di te ci sia nel nuovo individuo.

Se invece sei piu’ furbo, sfrutterai il fatto che c’è già il 75% di probabilità che una tua copia sia nelle tue sorelle, e quindi, per conquistare il mondo il tuo piano sarà di far fare piu’ figli possibili a tua madre, e impedire che tua sorella faccia dei nipotini .

Questo piano diabolico massimizza la Fitness Inclusiva, cioè non solo il tuo egocentrico ed individuale successo riproduttivo, ma anche il successo riproduttivo degli altri che condividono gli stessi geni. Dall’egoistica voglia di autopropagazione dei geni nasce un sistema in cui, altruisticamente, le api dedicano la loro vita al supporto della famiglia.

Ad esempio cannibalizzando le larve nei momenti di scarsità di cibo. Ah, il cannibalismo, pilastro della civiltà.

Come avrai già intuito, caro Alberto, questo sistema può evolversi  a due condizioni. La prima è che la mamma regina non metta le corna al papà. E, nella maggior parte delle specie, l’ape regina durante il suo volo nuziale non solo si accoppia con un solo fuco, ma lo sperma di cui fa incetta viene conservato n organi appositi per tutta la vita, garantendo l’egual grado di parentela di tutte le api operaie.
L’altra condizione è che i maschi siano prodotti solo per partenogenesi e non possano sabotare l’equilibrio 75%-50% di geni in comune.

Il che è un po’ più un problema.

Ti devo fare una confessione, caro Alberto. Prima, quando ti dicevo che i maschi sono aploidi, non ti ho mentito, ma ho fatto qualcosa di necessario per quanto riprovevole: ho semplificato le cose. Perché per quanto questa sia la risposta un po’ piu’ complicata di quella breve, la realtà è ancora un po’ più complicata.

Quando ho parlato dell’aplodiploidia ho momentaneamente glissato sul come. Perché avere la metà dei cromosomi ti fa diventare maschio? In fondo hai tutto quello che serve per fare una femmina, solo che in singola invece che in duplice copia. Perché non ci dovrebbero essere maschi diploidi?

Ci sono maschi diploidi. Saltano fuori, ogni tanto, nelle linee pure degli apicoltori. Far incrociare di continuo gente strettamente imparentata fa sempre saltare fuori roba interessante.

Il maschio diploide salta fuori da un uovo fertilizzato, il che significa che ha un papà, oltre che una mamma. Avrà una copia di ciascun cromosoma dalla regina, e una dal fuco.Contando semplicemente i cromosomi dovrebbe essere una femmina, ma abbiamo un maschio fatto e finito con un endofallo che aspetta solo di essere rivoltato. I cromosomi ci hanno tradito: non sono direttamente loro a decidere il sesso. Siam caduti in una trappola, dando per scontato che le due cose erano l’una causa dell’altro, quando invece la situazione era un po’ più complicata. Dal momento che la comparsa di maschi diploidi era legata all’endogamia, i ricercatori intuirono che c’era di mezzo uno specifico che locus poteva essere in due stati, e, a seconda della sua condizione, determinava il sesso.
La dominanza e la recessività, in questo caso, non c’entrano. Quello che conta è l’eterozigosi o l’omozigosi, ossia avere due o differenti copie uguali su i due cromosomi omologhi. L’ipotesi era semplice: se sei un maschio, hai soltanto una copia del gene, e quindi sei per forza omozigote, e ti svilupperai in un maschio. Un uovo fecondato, invece, ha due copie del gene determinante il sesso: se sono differenti, diventi una femminuccia. Se sono uguali, diventi un maschietto. Sempre che non muori prima. Perché, non a caso, avere due copie del gene identiche è embrioletale per lo sfortunato maschio in fieri, a meno che non ci sia una qualche mutazione che mascheri l’effetto. In quel caso, può nascere un maschio diploide. Che, poco dopo la nascita, sarà cannibalizzato dalle altre operaie. Come si evolvono questi meccanismi molecolari e come cambiano nel tempo è una questione interessante, che però terremo per un’altra volta visto che questo articolo è già abbastanza massiccio.

La stretta somiglianza genetica fra generazioni a cui fai riferimento nella tua domanda, caro Alberto, è il collante che ha permesso l’evoluzione particolare della società delle api. E’ difficile mettersi nei panni dei geni egoisti che promuovono l’altruismo, ma la cosa bella è come una volta indossati quegli occhiali tutto comincia ad essere più chiaro, e i pezzi del puzzle ad incastrarsi. Non perfettamente, certo, perché ci sono ancora vagonate di roba da scoprire sull’evoluzione dell’eusocialità, ma abbastanza perché il cervello faccia “click”, quel click che dà il gusto di capire le cose.

Tranne il cannibalismo. Il cannibalismo proprio non lo capisco.

Brown SJ (2003). Entomological contributions to genetics: studies on insect germ cells linked genes to chromosomes and chromosomes to mendelian inheritance. Archives of insect biochemistry and physiology, 53 (3), 115-8 PMID: 12811764

Mackensen O (1951). Viability and Sex Determination in the Honey Bee (Apis Mellifera L.). Genetics, 36 (5), 500-9 PMID: 17247362

Quando l’uomo aveva 48 cromosomi

Se, al giorno d’oggi, dovessi per caso dire che l’uomo ha quarantotto cromosomi, le fiere dell’inferno si abbatterebbero su di me: orde di biologi farebbero la fila per insultarmi e fustigarmi di fronte ad un così macroscopico errore. Del resto sin da quando si è bimbi,si insegna, quasi fosse una filastrocca, che di cromosomi se ne ricevono ventitré dal papino, e ventitré dalla mamma: 23 a coppie, per un totale di 46. Poi non sono veramente convinto che la gente abbia un’idea chiara di cosa sia un cromosoma, considerato che la maggioranza degli italiani non sa se è più grande un protone o un elettrone, ma sono ben convinto che se scrivessi qui che l’uomo ha quarantotto cromosomi, il mio pubblico, composto perlopiù da gente più istruita della media oltre che da mia mamma (ciao mamma!), si fionderebbe nei commenti a segnalare il terribile errore.

Quello che però difficilmente questi saccenti arrabbiati tengono presente è che fino agli anni ‘50 la quasi totalità della comunità scientifica era pressoché certa che l’uomo di cromosomi ne aveva quarantotto, ventiquattro coppie. Se non avete idea su cosa sia un cromosoma, e come abbiamo scoperto che i geni stanno sui cromosomi, e come la genetica è stata rimessa assieme alla teoria dell’evoluzione, date un occhio al mio articolo sull’eclissi del darwinismo; forse non vi chiarirà tutti i dubbi, ma almeno avete un idea dello sfondo storico, quasi contemporaneo alla storia che vi sto per raccontare, con cui spero di battere in saccenteria i saccenti arrabbiati.

Un cariotipo umano, cioè una foto la compilation dei cromosomi che vi portate a spasso. Questa foto è un collage del 1979, dopo l’introduzione della colchichina Photocredits: T. C. Hsu

Non mi pare di aver mai definito che cosa sia un cromosoma nell’articolo precedente, e non lo farò neanche adesso: in fondo, i ricercatori degli anni ’20 non avevano una chiara idea di quello che era o non era un cromosoma, e non vedo perché voi dovreste avere un vantaggio. L’unica cosa che dovreste avere è  la vaga idea che il cromosoma è fatto di DNA arrotolato su se stesso, e che i cromosomi appaiono come bastoncini colorati (cromo-somi, corpi colorati, come vuole il nome stesso) solo poco prima della divisione cellulare. Per vedere i cromosomi bisogna beccare le cellule nel momento giusto, quando tutto il DNA è impacchettato nel suo bastoncino. Questa è una sfida tecnica non indifferente, perché in una cellula morente i cromosomi si fondono e si rompono in allegria. Per beccare per bene i cromosomi servivano quindi cellule fresche, e possibilmente con poco altro oltre al DNA di modo che nulla interferisse con l’osservazione. E siccome i metodi di colorazione che cromavano i cromosomi non erano esattamente massimo della precisione era anche bene avere una grande quantità di queste cellule, sicché almeno qualcuna sui prendesse la cellula giusta al momento giusto.

In pratica, servivano montagne di testicoli.

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Lo Spiegone: Come sappiamo da dove vengono i bambini

Da dove vengono i bambini? Se non avete nessuna idea della risposta, fate una pausa nella lettura ora, e andate a fare quella chiaccherata di rito con il vostro genitore favorito; se nella vostra vita le cose funzionano come nei film, con larghe metafore di api/fiori e impollinazioni varie, dovreste nonostante tutto avere una migliore idea di come funziona la riproduzione umana della maggior parte delle persone per la maggior parte della storia dell’umanità.

In una vecchia foto di famiglia, babbo bradipo spiega la riproduzione sessuata.

Oh, non fraintendete: che i bimbi vengano dalla vagina della loro madre è un’informazione patrimonio dell’umanità dall’inizio della specie; come i bambini ci finiscano dentro, però, è tutta un’altra questione.

Strano ma vero, sappiamo dare una risposta decente alla domanda “da dove vengono i bambini?” da solo una manciata di secoli.

Magari siete lettori di una qualche setta di cristiani rinati, teocon repubblicani, o ciellini, e neppure riuscite ad immaginare l’atto della copula separato da un atto riproduttivo: sia come sia, sappiate che è ragionevole pensare che l’idea che il sesso sia la cosa che ficca i bambini nell’utero non ha più di una decina di migliaia di anni.

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