Vescovi, Vampiri e Virus

Qualche giorno fa, avendo un po’ di tempo da perdere, ho preso tra le mani un bel manuale di metodi matematici  per la modellazione in biologia, e oltre a illustrazioni assolutamente imperdibili, come questa:

Ingegneria Biomedica Medievale

Un (per fortuna) ipotetico metodo rapido per estrarre una freccia da una ferita, ideato da un ingegnere biomedico ante-litteram.

L’autore ha trovato un modo di inserire nelle sue prefazioni alle varie trattazioni matematiche tutta una serie di aneddoti piuttosto interessanti. Uno in particolare riguardava un vescovo, che è anche un santo: Sant’Uberto, vescovo di Liegi.

Uberto era un simpatico vescovo dell’ottavo secolo. Andava in giro ad evangelizzare i pagani nelle Ardenne, finché ad un certo punto decise di fondare la diocesi di Liegi, diventare primo vescovo del posto, e morire lì, nella tranquillità del suo letto. E’ considerato un santo perché la leggenda vuole che Uberto, prima di vedere la luce, fosse un nobile che, come tutti i nobili di buona famiglia dell’ottavo secolo, amasse andare a caccia: e in una di queste battute ebbe la visione di un crocifisso tra le corna di un cervo, che gli intimava di abbandonare la sua vita dissoluta e convertirsi. In realtà la storia della conversione è un plagio assoluto, preso di peso dalla vita di Sant’Eustachio, ma tant’è: Uberto ha fondato una diocesi, bisognava trovare una scusa per santificarlo.

Della sua esimia vita non ci interessa molto in ogni caso: la parte interessante arriva quando Uberto viene riesumato.

Siete un abate, e avete un disperato bisogno di attirare pellegrini in un remoto monastero delle Ardenne, dove altrimenti nessuno andrebbe a far visita. I monaci sono giù di morale. Reliquie della zona, evangelizzata da poco, non attirano nessuno. La soluzione ovvia è riesumare il corpo di un santo morto da un secolo.

Il corpo di un santo è una reliquia ottima: ancora prima che arrivi al monastero, mentre la salma è ancora in viaggio, le cominciano a spuntare le prime guarigioni miracolose. Avete fatto un colpaccio con questo disseppellire i morti. Nel giro di pochi decenni, un’intera città, Saint-Hubert des Ardennes, sorge intorno al monastero. Siete stati degli abili abati, e potete tranquillamente andare in giro a spargere figli illegittimi senza preoccuparvi di problemi di liquidità. I vostri successori avranno ottime idee per mantenere vivo il culto di Uberto.

Nell’undicesimo secolo, Sant’Uberto avrà il monopolio delle cure miracolose sulla rabbia. Migliaia di pellegrini accorreranno agli altari dove un monaco sapiente farà una lunga incisione lungo tutta la fronte del pellegrino, infilandoci poi un filo della stola episcopale di Sant’Uberto (recuperata insieme al cadavere). Stola miracolosa, chiaramente, perché tessuta dalla vergine Maria in persona e consegnata ad Uberto da qualche angelo in visita.

Sant’Uberto viene disseppellito: chiaramente, essendo santo, il suo corpo non si è minimamente decomposto. Il quadro è di Rogier van der Weyden, e risale al 1430 circa, a dimostrare che la devozione per Uberto non passò rapidamente di moda.

Il rituale, chiamato la taille, avrà grandissima popolarità fino al diciottesimo secolo,  ma non smetterà neanche successivamente di essere praticato: l’ultima registrazione di questa cerimonia risale al 1956.  La stola di Sant’Uberto che è “miracolosamente” ancora intatta, è esposta in un enorme reliquiario nella basilica di Saint-Hubert.
Se vi chiedete quale sia il collegamento tra la taille e la rabbia, è presto detto: si pensava che questa fosse causata da vermi anali di cani e lupi, che si trasferivano sotto la lingua dell’animale quando questi si faceva la toeletta, e venivano trasmessi al malcapitato con il morso. Il lungo filo sottile infilato nel cranio del malato è in questo senso un feticcio che rappresenta un verme anale.  Ma solo il filato di una stuola episcopale intessuta dalla Vergine Maria funziona, mi raccomando.

E non è neanche detto che funzioni per tutti: vicino all’altare di Sant’Uberto, c’è un grosso anello di metallo al quale venivano legati  coloro che si sottoponevano al rituale. Se  le urla, le convulsioni e il contorcersi si fermavano entro 9 giorni, il poveretto era stato curato. Viceversa, se dopo 9 giorni il paziente era morto, significava che Sant’Uberto aveva deciso di non intercedere per lui alla pietà celeste, poiché i suoi peccati erano troppo gravi. La colpa era solo della vittima, chiaramente.

C’era, a quei tempi, un semplice criterio diagnostico per stabilire se una persona fosse malata di rabbia o meno: se era in grado di sopportare la propria immagine allo specchio. Il che ci porta alla seconda V dell’allitterato titolo: i vampiri.

Nel 1693, un giornale rivelò l’esistenza di strani cadaveri, gonfi di sangue, tra le persone e gli animali: erano stati toccati dal demonio. Secondo racconti che venivano dai balcani, questi cadaveri uscivano da soli dalle loro tombe:

Gli abitanti del villaggio hanno visto un fantasma che ad alcuni è apparso in forma di cane, ad altri in forma di uomo emaciato e disgustoso, che fu visto non da individui ma da molti, e che causava agli abitanti grande timore e tormento assaltandoli con violenza, stringendogli il collo fino a quasi soffocarli. Il fantasma ha attaccato anche altri animali, e sono state trovate vacche percosse a morte.

Questi resoconti diventarono comuni nel 18esimo secolo; la più famosa di queste storie racconta del villaggio di Medvedja, in Serbia, nell’inverno del 1731.  Voltaire scrisse che ” I vampiri sono stati l’unico argomento di conversazione tra il 1730 e il 1735 “. Anche Rosseau scrisse della questione, anche se forse avrebbe fatto meglio a tacere:

Se c’è una storia ben documentata a questo mondo è quella dei vampiri. Non manca nulla: testimonianze orali, certificati di persone straordinarie, di chirurghi, di preti, di magistrati. Chi può ancora non credere ai vampiri ?

I vampiri dei tempi dell’illuminismo avevano però abitudini un po’ diverse di quelle dei vampiri moderni. Oltre al non sbrilluccicare, i Vampiri del 18esimo secolo avevano poco in comune anche con il Dracula di Bram Stoker, che codificò il personaggio per l’immaginario collettivo moderno.

Ad esempio, i vampiri uscivano dalle loro tombe per fare sesso oltre che per succhiare il sangue di vittime innocenti; si potevano tramutare in cani e lupi, non in pipistrelli, e all’occorrenza potevano anche essere invisibili; per quanto preferissero muoversi la notte, potevano essere anche diurni, ed erano quasi esclusivamente uomini. Si poteva diventare vampiri se si veniva morsi, mangiando animali che erano stati uccisi da un vampiro, se il proprio cadavere si fosse visto nello specchio, o se uno era un grande amatore. Se un cadavere era gonfio di sangue, o aveva genitali molto sviluppati, poteva essere un vampiro, e quindi andava impalato, decapitato e cremato. Perché era meglio non rischiare.

La rabbia è una zoonosi: ciò significa che il virus che la causa viene tranquillamente trasmesso da altri vertebrati, tipo, non so, cani e lupi, all’essere umano. Il virus della rabbia attacca, tra l’altro, il sistema limbico, e quindi causa disordini di natura sessuale, oltre che comportamenti imprevedibili, per lo più di natura aggressiva e violenta.

Il virus della rabbia. Piccolo bastardo. Da quando esiste la scienza medica moderna, solo 4 persone che hanno contratto questo cosino sono sopravvissute.

Alcuni sintomi della rabbia furiosa nell’uomo includono insonnia, spasmi muscolari incontrollabili, idrofobia (da cui originariamente la malattia prendeva il nome) , reazioni inconsulte al vedersi nello specchio e altre bizzarre manifestazioni che vanno dall’ipersessualità, che non di rado porta a tentativi di stupro ed erezioni permanenti, ad uno sbavare a dir poco copioso di saliva ma anche sangue, fino all’afasia (cioè l’incapacità di articolare suoni intellegibili)

E’ davvero pessimo prendere la rabbia. Si può trasmettere via morso, sia zoonotico, da lupi a cani, sia, in casi rari ma registrati, da uomo a uomo. La rabbia è considerata una patologia isosintomatica: ovvero, se la contrae un cane, un lupo, un uomo o un pipistrello, i sintomi sono grossomodo gli stessi. Ma gli animali da bestiame non contraggono la forma furiosa della rabbia; contraggono quella paralitica, la rabbia muta. La rabbia è sette volte più comune negli individui di sesso maschile rispetto a quelli di sesso femminile (umani o meno), ed era particolarmente diffusa nelle zone rurali, tipo, non so, i balcani del 1700.

Non c’è bisogno di essere dei geni per capire dove sto andando a parare: il mito (con buona pace di Rosseau) del vampirismo può avere un origine ben radicata nella realtà della rabbia.

Un anonimo medico francese, nel 1733, scriveva:

Il vampirismo è una malattia contagiosa più o meno della stessa natura di quella che proviene dal morso di un cane rabbioso

Aveva capito tutto.

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