Ho un problema.
Quando gifh mi ha invitato a partecipare al Carnevale della Chimica mi sono sentito, ovviamente, onorato.
Ma il tema, “ La Chimica del Futuro “, mi mette un po’ nei guai.
In primis perché, di fatto, di chimica non è che ne capisca poi così tanto. Ma soprattutto perché del futuro, io, non ne so assolutamente nulla. Già faccio fatica a capire il passato, con tutti i suoi fatti ordinati uno dietro l’altro, figuriamoci cosa può essere il futuro che neppure è ancora accaduto, nel suo vortice di infinite possibilità.
Isaac Asimov, per quanto sia stato incredibilmente avanti sui tempi ed abbia profetizzato svariate tecnologie e cambiamenti sociali che sono poi diventati realtà, lamentava che :
“Predicting the future is a hopeless, thankless task, with ridicule to begin with and, all too often, scorn to end with.”
E se c’è un genere di lavoro che non mi piace è quello ingrato e senza speranza. C’è un solo modo per salvarmi da questa Kobayashi Maru: barare.
C’è un tipo di futuro che è già accaduto, e che mi permette di navigare in acque per me più tranquille: il futuro previsto, immaginato, disegnato e desiderato da generazioni precedenti alle nostre che, un po’ come facciamo noi, caricavano il l’avvenire con i loro desideri e le loro paure.
E la chimica, di speranze ma anche di paure, ne ha sempre generate tante.
Nel 1943, quando la Seconda Guerra Mondiale ancora impazzava, Charles Stine, presidente della Du Pont, ai tempi la più grande società chimica del mondo, pensava già al futuro, e i suoi occhi probabilmente sbrilluccicavano al pensiero. Lo sforzo bellico aveva preparato tutte le infrastrutture necessarie per una grande rivoluzione chimica, che i futuristi più visionari andavano predicendo già dagli anni 20, e sembrava essere sempre più vicina. I vestiti completamente plastici, come quelli di Buck Rogers, erano ormai vicini ad essere realtà. Il nylon e la viscosa stavano entrando nelle case, e il Fortisan, un’altra fibra sintetica “ Tre volte più forte della seta e tre volte più economica “, come dicevano gli slogan, inventata per i paracadute, era la prossima, vicina frontiera.
E Stine, neanche con la decenza di nasconderlo sotto i baffi, sorrideva.
“The nation will emerge from this war with capacities for making plastics, synthetic fibers, nitrates, hydrocarbons, high octane gasolines, and literally scores of chemical and other raw materials on a scale that only two years ago was beyond comprehension ”.
Così, ancora prima che nei suoi laboratori qualcuno cominciasse a lavorare a progetti ambiziosi per il tempo di pace, prometteva vetri totalmente infrangibili e un nuovo tipo di benzina, in grado di portare l’autonomia di una comune automobile a 50 miglia al gallone (21 km/l). Questo avrebbe permesso una rivoluzione urbana, con l’abbandono delle periferie verso nuovi centri cittadini con grattacieli fino alle nuvole e trasporti efficientissimi.
Uno dei più grandi rivali della DuPont, Edgar Monsanto Queeny, andò ben oltre le semplici conferenze stampa: pubblico un intero libro, The Spirit Of Enterprise, in cui si lanciava in entusiastiche predizioni su come la chimica avrebbe cambiato la faccia del mondo, arrivando anche a profetizzare alcune tecnologie che sarebbero diventate realtà. E si immaginava quindi un futuro in cui “ solo una cosa era certa: che anche la più stravagante delle previsioni sarebbe stata superata dalla realtà “, in cui la “ luce germicida delle lampade a mercurio “ avrebbe spazzato via ogni malattia, in cui i vestiti non sarebbero più stati da pulire, essendo a “ prova d’acqua, di macchie e di fuoco “; un futuro in cui, probabilmente con sommo disappunto di Totò, ogni genere di cibo e bevanda avrebbe avuto il suo sostituto sintetico, più salutare, in grado di essere conservato più a lungo, e fortificato da vitamine e nutrienti, così da portare la durata della vita media ai centocinquanta anni.
Ma non solo i chimici erano eccitati per la chimica del futuro. Henry Ford, ad esempio, vedendo come l’acciaio stava sempre più diventando una risorsa scarsa e preziosa, visto l’utilizzo spropositato che se ne faceva per la guerra, investì subito nella plastica, convinto che nel futuro nuove, più economiche automobili avrebbero potuto fare a meno del metallo. Uno dei suoi designer, George G. Walker, vedeva anche un altro vantaggio nel futuro plastico del trasporto:
Plastics which permit the transmission of ultra-violet rays will give the passenger a good tan without the discomfort of sunburn due to the elimination of the infrared rays.
Il loro grandioso ottimismo era paradossalmente giustificato, nonostante la Guerra, dalla quantità spropositata di nuovi brevetti tecnologici in grado di cambiare il mondo che uscivano dai laboratori di ricerca e sviluppo, militari e non, in quel periodo. Ford poté gioire per l’invenzione della trasmissione automatica, nel 1940. La televisione a colori sarà brevettata nell’anno successivo. Il Napalm, che forse oggi non viene associato dai più al progresso tecnologico, usciva nel 1942 da uno dei più avanzati laboratorio chimico di ricerca del mondo, ad Harvard; l’indispensabile plastica tipo Tupperware per i vostri contenitori da microonde di oggi nasce alla fine del 1945, con già i suoi sigilli ermetici, chiaro segno dell’essere una tecnologia futuristica.
E la chimica era sempre l’araldo di questi cambiamenti tecnologici. Nel 1935, quasi 10 anni prima delle previsioni elencate qui sopra, il presidente della Ethyl Gasoline Corporation, Thomas Midgley, forse inebriato dalla scoperta del piombo tetraetile, annunciava all’American Chemical Association un futuro dove la chimica era sovrana assoluta. Dal viaggio interplanetario, alla cura per il cancro, a vacche così grandi da dover essere munte con la scala, sarebbe stata la chimica la vera artefice del cambiamento dell’umanità.
E, sebbene sbagliasse per quanto riguarda il livello di trasformazione, non sbagliava più di tanto nei concetti: oggi abbiamo Curiosity su Marte (a fare esperimenti chimici, per lo più), molti tipi di cancro sono curabili e abbiamo varie specie di animali da allevamento più o meno selezionate artificialmente per essere enormi, e più o meno imbottite di ormoni.
E per quanto la tendenza generale di oggi sia quella di provare profondo disgusto per tutto ciò che è cibo considerato “innaturale”, dagli OGM ai dolcificanti artificiali passando per gli animali imbottiti di antibiotici, questo genere di cose erano il sogno più ambizioso di certi futuristi appena 60 anni fa.
Nel 1953 Jacob Rosin e Max Eastman pubblicano “ The Road To Abundance: The Victory Of Chemistry Over Agriculture “. Nel libro, descrivono il trionfo ormai prossimo della chimica industriale e dell’agricoltura intensive contro la natura, creando cibi ben più efficienti per una perfetta dieta sintetica:
It is therefore high time to remove the cloak of holiness from natural foods, and see them as what they are: a poorly assorted mixture of chemicals containing a large amount of indigestible materials, and a certain proportion of materials injurious to our health. This mixture has been, unfortunately, indispensable for our nutrition, since we have been unable up to now to obtain the chemicals required by our organism in a form entirely digestible and devoid of poison.
C’è stato un tempo in cui parlare di cibo chimico significava parlare di roba veramente buona, in opposizione a quella robaccia naturale così imperfetta e poco efficiente. E’ una cosa difficile da immaginare per le nostre menti del ventunesimo secolo un presente alternativo in cui le etichette portano scritto “ TOTALMENTE SINTETICO” come medaglia d’onore.
Non so quando abbiamo perso questa infantile infatuazione per la chimica e siamo tornati ad innamorarci della pura, buona natura immaginata da Rousseau, ma non posso fare a meno di pensare che nel passaggio c’abbiamo perso qualcosa.
Quell’infatuazione ingenua sarebbe potuta diventare amore, quell’entusiasmo senza limiti verso un futuro migliore poteva essere realmente incanalato verso cose grandi, migliori, utopistiche addirittura.
Non è la chimica che ha fallito: la sua capacità di trasformare il mondo resta straordinaria. Lo sapevano gli uomini e le donne degli anni 30, 40 e 50, che la immaginavano padrona del futuro. Lo sapete anche voi, se avete letto gli altri articoli del Carnevale, e avete avuto un assaggio di quella che sarà chimica del futuro.
Non sono solo io ad avere un problema, ma anche il futuro. L’avvenire ha questa grossa difficoltà a decidere cosa diventare: utopia o distopia ? Esaudiremo i desideri più reconditi dei nostri predecessori, o batteremo una nuova via, inventandoci nuove soluzioni a problemi che neppure sappiamo di avere ?
Il futuro non ha neppure la possibilità di barare, come invece ho fatto io. Il futuro deve accontentarsi di essere costruito da gente di ogni risma, dalla casalinga al bio-blogger, dal calciatore all’assicuratore.
Il signor Charles Stine, mentre era presidente della DuPont , nella sua ottimistica visione del futuro, scelse anche un particolare slogan (che nel mentre non solo è stato cambiato svariate volte, ma è anche diventato il titolo di un album di Fatboy Slim), che incarna perfettamente lo spirito che guidava l’immaginazione di due generazioni: Better Living Through Chemistry.
E per quanto la chimica non possa essere la panacea di ogni male, e l’ottimismo vada soppesato con una certa dose di razionalità e pragmatismo, vale la pena considerare almeno ogni tanto questa idea un poco iconoclasta secondo cui il futuro, che sia quello di un operaio o di un attore, potrà essere meglio se includerà un po’ più di comprensione (e applicazione) della chimica.
Vale la pena di farlo, per non rischiare di avere un grande futuro alle spalle.
Pur non essendo particolarmente amante della chimica anche se sono professionalmente un suo dispensatore l’articolo mi è piaciuto (e mi ha fatto pensare alla vecchia serie di batman). Mi ha fatto riflettere su due cose: Non so bene come funzioni l’evoluzione dei batteri ma alcuni vecchi antibiotici “creati” e “scoperti” in quei magici anni stanno tornando di moda causa multiresistenze e che “la chimica” soprattuto nel campo della cura/controllo dei tumori è molto spesso sintesi della “natura” (butto a caso il taxolo che va molto di moda e che avrete già capito da dove viene).
Bellissimo articolo sulla storia della chimica. I miei complimenti!