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Sopravvivere all’olocausto fa bene alla salute

Qualche giorno fa, in occasione dell’anniversario del bombardamento di Hiroshima, il sempre bravo Gianluigi Filippelli ha scritto un interessante articolo dal provocatorio titolo ” I salutari effetti della bomba atomica “. La conclusione della review riportata da Filippelli però la riporto, in due righe, anche qui:

The evidence presented indicates that acute, low dose irradiation induced lifetime health benefits for Japanese survivors of atomic bombs. (…) The flash exposure for those in Hiroshima and Nagasaki was equivalent to a radiation vaccination. That suggests an important concept. These data indicate that acute exposure to low dose irradiation is adequate, with or without chronic exposures, to provide lifetime health benefits.(1)

Cioè, se ignoriamo per un momento tutti gli ovvissimi effetti collaterali immediati delle bombe, incredibilmente i sopravvissuti hanno tratto dei benefici per la loro salute. Che è una cosa apparentemente fuori dal mondo, roba che se non avendo i risultati alla mano la reazione spontanea di una persona normale sarebbe ribaltare il tavolo ed andarsene.

Ma, siccome io non sono normale, ho deciso di prendere quella di Dropsea come una sfida a trovare qualcosa di più inaspettatamente benefico per la salute. E come il titolo sopra dice, nella maniera più infiammatoria che mi venisse in mente: sopravvivere all’olocausto fa bene alla salute.

E’ la conclusione di questo paper che trovate in libero accesso su PLOS ONE, dall’eloquente titolo ” Against All Odds: Genocidal Trauma Is Associated with Longer Life-Expectancy of The Survivors “. E’ un risultato interessante anche perché dubito che i ricercatori, due dei quali sono di origine ebraica, e finanziati da associazioni come il ” Center for Advanced Holocaust Studies”, lo ” United States Holocaust Memorial Museum “, si aspettassero questo risultato.

Gli autori inizialmente si rifanno ad una grande meta analisi, con più di 12 mila partecipanti, che mostra come coloro che sono sopravvissuti all’Olocausto mostrano molti sintomi da stress post-traumatico (ma và?) ma nessun generale deterioramento delle capacità cognitive o della salute fisica. La meta analisi in questione non aveva però raccolto alcun tipos di dati sulla sopravvivenza e la speranza di vita, e quindi gli autori si son lanciati in questa impresa.

Se avete letto il mio precedente articolo sull’intelligenza dei vittoriani e il selection bias e ne avete colto la morale (sbagliando il campionamento tutto il resto non è attendibile), vi sarà chiaro che la difficoltà più grande per questo studio sia effettivamente trovare un gruppo di persone il più simile possibile a chi ha sofferto per l’olocausto, senza però aver dovuto sottostare ad un genocidio. Non solo: per quanto l’olocausto degli ebrei possa essere considerato un evento di stress acuto confrontato con la vita intera di una persona, bisogna che la vita prima e dopo l’olocausto, dei due gruppi che vai a comparare fosse il più simile possibile, per evitare altri fattori confondenti.

Per costruire i due gruppi, quindi, i ricercatori hanno considerato gli ebrei emigrati dalla Polonia in Israele subito prima dell’Olocausto (dal 1919 al 1939), e quelli emigrati in Israele, di origini polacche, subito dopo l’olocausto (Dal 1945 al 1950). Il gruppo di controllo non è perfetto, chiaramente, perché si possono immaginare obiezioni per cui i due gruppi non sono comparabili, ma vista la questione è difficile fare meglio di così: il background genetico è più o meno lo stesso, l’ambiente di vita dopo l’olocausto è più o meno lo stesso, e usando i dati del censimento si sono stratificati i campioni in base alle condizioni socioeconomiche, per evitare effetti falsati dal confrontare un gruppo ricco con un gruppo di poveri, e in classi di età.

Precisazione importante: sopravvissuti all’olocausto NON SIGNIFICA sopravvissuti all’internamento in un campo di concentramento: il gruppo dei sopravvissuti include non solo coloro che sono stati liberati dai campi di prigionia, ma anche chi era nascosto in conventi o altrove.

” Ma allora è una stronzata! ” direte voi impulsivamente: in realtà, è effettivamente una procedura che ha un senso visto che si vuole misurare l’effetto dello stress. Come ho detto prima,  ci sono studi precedenti su campioni enormi che ci dicono che l’effetto sul lungo periodo delle deprivazioni dei campi di prigionia sono abbastanza piccoli; quello che gli autori vogliono misurare è l’effetto del trauma psicologico del genocidio sulla speranza di vita.

In ogni caso, l’effetto finale trovato è talmente grande che sinceramente sarei sorpreso se fosse solo un artefatto statistico:  analizzando in totale 55220 uomini e donne, salta fuori che i sopravvissuti all’olocausto sopravvivono 6.5 mesi più a lungo di quelli che l’olocausto l’hanno evitato stando in Israele. L’effetto è ancora più grande per gli uomini, per i quali la speranza di vita aumenta in media di 14 mesi, o addirittura diciotto se nel 1940 erano tra i 16 e i 20 anni. E’ un risultato assurdo. Come lo spieghiamo ?

La mia prima idea, leggendo il paper, era comunque un effetto di selezione. Perché se è vero che gli autori hanno cercato disperatamente di abbinare i due gruppi, sopravvivere all’Olocausto non è una variabile casuale. Considerato lo stress, l’asperità, le difficoltà etc, non è difficile immaginare che le persone che sono sopravvissute siano quelle che già dall’inizio erano le più in salute, mentre i più deboli e malati non ce l’hanno fatta. Il gruppo di controllo, che non ha dovuto subire questo terribile esperimento di selezione artificiale, contiene anche gente che per ragioni genetiche o ambientali è generalmente meno in forma, e quindi abbassa la media. In realtà gli autori considerano brevemente questa possibilità, ma non è la spiegazione che ritengono più probabile:

An alternative interpretation would be differential mortality, meaning that those vulnerable to life-threatening conditions had an increased risk to die during the Holocaust. Holocaust survivors by definition survived severe trauma, and this may be related to their specific genetic, temperamental, physical, or psychological make-up that enabled them to survive during the Holocaust [12]–[15] and predisposed them to reach a relatively old age.”

Secondo gli autori del Paper, la spiegazione più probabile è ” L’effetto di crescita post traumatica “.

Such findings may highlight the resilience of survivors of severe trauma, even when they endured psychological, nutritional, and sanitary adversity, often with exposure to contaminating diseases without accessibility to health services. This may be considered an illustration of the so-called posttraumatic growth [9] that is observed to occur, for example, in soldiers having experienced combat-related trauma but finding greater meaning and satisfaction in their later lives because of those experiences.

Che darebbe ritrovata veridicità al proverbio ” Ciò che non mi uccide mi rende più forte ” (o quanto meno mi dà EXP)

Nelle parole di uno degli autori, il professor Sagi-Schwartz :
“The results of this research give us hope and teach us quite a bit about the resilience of the human spirit when faced with brutal and traumatic events”

Io, sarà che sono cinico, sono ancora abbastanza convinto che sia un effetto di selezione, ma l’effetto paradossale rimane: sopravvivere all’olocausto allunga la vita.

ResearchBlogging.org
Sagi-Schwartz A, Bakermans-Kranenburg MJ, Linn S, & van Ijzendoorn MH (2013). Against all odds: genocidal trauma is associated with longer life-expectancy of the survivors. PloS one, 8 (7) PMID: 23894427

Quando l’uomo aveva 48 cromosomi

Se, al giorno d’oggi, dovessi per caso dire che l’uomo ha quarantotto cromosomi, le fiere dell’inferno si abbatterebbero su di me: orde di biologi farebbero la fila per insultarmi e fustigarmi di fronte ad un così macroscopico errore. Del resto sin da quando si è bimbi,si insegna, quasi fosse una filastrocca, che di cromosomi se ne ricevono ventitré dal papino, e ventitré dalla mamma: 23 a coppie, per un totale di 46. Poi non sono veramente convinto che la gente abbia un’idea chiara di cosa sia un cromosoma, considerato che la maggioranza degli italiani non sa se è più grande un protone o un elettrone, ma sono ben convinto che se scrivessi qui che l’uomo ha quarantotto cromosomi, il mio pubblico, composto perlopiù da gente più istruita della media oltre che da mia mamma (ciao mamma!), si fionderebbe nei commenti a segnalare il terribile errore.

Quello che però difficilmente questi saccenti arrabbiati tengono presente è che fino agli anni ‘50 la quasi totalità della comunità scientifica era pressoché certa che l’uomo di cromosomi ne aveva quarantotto, ventiquattro coppie. Se non avete idea su cosa sia un cromosoma, e come abbiamo scoperto che i geni stanno sui cromosomi, e come la genetica è stata rimessa assieme alla teoria dell’evoluzione, date un occhio al mio articolo sull’eclissi del darwinismo; forse non vi chiarirà tutti i dubbi, ma almeno avete un idea dello sfondo storico, quasi contemporaneo alla storia che vi sto per raccontare, con cui spero di battere in saccenteria i saccenti arrabbiati.

Un cariotipo umano, cioè una foto la compilation dei cromosomi che vi portate a spasso. Questa foto è un collage del 1979, dopo l’introduzione della colchichina Photocredits: T. C. Hsu

Non mi pare di aver mai definito che cosa sia un cromosoma nell’articolo precedente, e non lo farò neanche adesso: in fondo, i ricercatori degli anni ’20 non avevano una chiara idea di quello che era o non era un cromosoma, e non vedo perché voi dovreste avere un vantaggio. L’unica cosa che dovreste avere è  la vaga idea che il cromosoma è fatto di DNA arrotolato su se stesso, e che i cromosomi appaiono come bastoncini colorati (cromo-somi, corpi colorati, come vuole il nome stesso) solo poco prima della divisione cellulare. Per vedere i cromosomi bisogna beccare le cellule nel momento giusto, quando tutto il DNA è impacchettato nel suo bastoncino. Questa è una sfida tecnica non indifferente, perché in una cellula morente i cromosomi si fondono e si rompono in allegria. Per beccare per bene i cromosomi servivano quindi cellule fresche, e possibilmente con poco altro oltre al DNA di modo che nulla interferisse con l’osservazione. E siccome i metodi di colorazione che cromavano i cromosomi non erano esattamente massimo della precisione era anche bene avere una grande quantità di queste cellule, sicché almeno qualcuna sui prendesse la cellula giusta al momento giusto.

In pratica, servivano montagne di testicoli.

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Come la genetica quasi ammazzò Darwin

Oggi a pranzo è saltato fuori un discorso particolare. Stavo avvertendo altri biologi della conferenza di mercoledì di Massimo Pigliucci con lo stesso distacco emotivo con cui una dodicenne parla di un imminente concerto di Justin Beiber, con tanto di squee e polso accelerato. Sebbene la platea mi fosse favorevole, almeno rispetto allo standard delle persone su cui vomito saccenza, il messaggio non mi sembrava accolto con particolare entusiasmo. Più che altro perché gli infedeli in questione non sembravano sapere chi fosse Pigliucci.

Quel gran figo di Massimo Pigliucci. Vi avviso, tutte le foto nell’articolo resto dell’articolo riguardano biologi, funzioni matematiche o insetti.

“Ma dai, è uno di quelli della sintesi estesa!” Esclamo, con quel tono che sembra voler dire “la tua ignoranza è sconvolgente”, ma che in realtà vuol sottointendere “ti compatisco”. Perché mi piace farmi amica la gente.

Così sto saccentando spiegando qua e là che cosa vuol dire sintesi estesa, quando una brillante osservazione arriva da uno dei miei interlocutori: “sintesi estesa” è, a guardarlo bene, un ossimoro. E non ci avevo mai fatto caso, una di quelle cose che si nascondono in
piena vista.

Ovviamente ossimoro non lo è poi di fatto, perché sintesi estesa si rifà nel nome alla ben più famosa sintesi moderna, quel famoso neodarwinismo degli anni 40… come sintesi di che? Non avete fatto un esame di storia della biologia? Come no? Ah invece tu si e comunque non hai idea di cosa sto parlando? Beh ma la insegnano proprio a cazzo…

In realtà sto millantando, perché non sono neanche eccessivamente sicuro di quello che sto per dire, ma se non trovo una risposta plausibile al “sintesi de che?”, Ci faccio una pessima figura.

Via, spariamola. “Eh, la sintesi moderna perché mette insieme Darwinismo e Mendel, perché non so se lo sai, ma fino agli anni venti molta gente era convinta che Mendel confutasse Darwin, la sintesi moderna ha riconciliato le due cose. ”

” Che cosa che cosa? ” occhi sgranati e sopracciglia aggrottate. ” come dovrebbe fare Mendel a confutare Darwin? “. Phew, li hai dirottati su un argomento di cui sai la risposta con certezza. E giù di prosopopea.

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Come saper usare un astrolabio può salvarvi la vita.

Lasciate che vi racconti una cosa che mi è capitata non molto tempo fa.

Ero nei guai in Jamaica.

I miei uomini erano allo stremo, distrutti dal tragitto attraverso l’Atlantico; i più rissosi  già meditavano di ammutinamento da settimane, sin da quando avevamo iniziato a razionare le provviste in mare. Quando le navi si spiaggiarono, gli animi si fecero ancora più tesi, e le lingue più affilate.

Gli indigeni del luogo, benché oltremodo selvaggi, parlavano una lingua strana e gutturale che uno dei gesuiti sosteneva di riuscire a capire, e persino tradurre.

Intimiditi dalle nostre navi, le nostre armi, e il nostro acciaio, i capi di queste tribù di selvaggi si mostrarono disposti a cooperare. Ma un uomo di mare non raggiunge le cinquanta primavere senza saper leggere le menzogne dei sottoposti, e negli occhi di questi indiani era chiaro l’odio, misto alla paura.
Non avrebbero perso occasione di pugnalarci alle spalle o nel sonno, quando l’occasione fosse stata propizia. E se non avessi trovato un modo di rimpinguare la cambusa, la lama tra le scapole sarebbe stata affondata da qualcuno dei miei. Dopo solo pochi mesi di ospitalità incondizionata, in cui avevano provveduto a ogni nostro bisogno e i miei uomini si erano divertiti con le donne locali, gli isolani cominciavano a rifiutarsi di fornirci provviste. Inaccettabile.

Per mia fortuna, dopo aver parlato con alcuni di loro, il gesuita mi comunicò che questi uomini seminudi non avevano ancora ricevuto la Buona Novella di Cristo, ed erano ancora offuscati da superstizioni pagane e politeiste.
Con questa Grazia, elaborai un piano per salvare la mia vita e quella dei miei uomini, oltre che assicurarmi l’assoluta obbedienza degli isolani.

È ben noto che in tutte le culture pagane, non ancora illuminate dalla luce del Vangelo, la Luna è spesso oggetto di adorazione, per via del suo moto regolare tra le stelle fisse, interpretato dagli intelletti deboli non come segno della perizia del Creatore nella sua costruzione delle celesti sfere, ma come risultato dell’agire di qualche demone o diavolo.
Non conoscendo la matematica del cielo costoro sono sordi alla sua armonia, e ciechi ai segni che mostrano il futuro nelle stelle.
Mi rendo conto che non tutti coloro che avranno tra le mani questo semplice libello saranno degli esploratori, navigatori o astrologi del calibro di Me Medesimo; sicché per vostro maggior godimento mi trovo a dover spiegare l’utilizzo di un semplice e utile strumento, indispensabile per un perito osservatore del cielo: l’astrolabio.

Un astrolabio nautico moderno. Nella ghiera più esterna sono segnati gradi e secondi, e le orbite e gli epicicli e le costellazioni. I due bracci sono quelli che dovete spostare per misurare gli angoli. Questo lato si usa per i pianeti e la luna; sul lato opposto si determina il sole. Foto Credits: http://www.le-meridiane.info

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Darwin e la vivisezione

Oggi è il Darwin Day, l’annuale festa dedicata a Carletto Darwin, e cercavo qualcosa di interessante da scrivere a proposito per celebrarlo in qualche modo, pur avendo bucato paurosamente le scadenze del Carnevale della Biodiversità. Fortunosamente, anche per colpa della questione dibattito scienza – movimento5stelle – e casini vari, sono andato a riscoprire un po’ il ruolo che Darwin ha avuto nella discussione del benessere animale, della ricerca scientifica e dell’antivivisezionismo suo contemporaneo.

Partiamo con una precisazione importante: ai tempi di Darwin, il termine vivisezione non era, come lo è impropriamente oggi, sinonimo di tutti i tipi di sperimentazione animale, ma indicava soltanto la vivisezione etimologicamente propria (cioè il tagliare effettivamente gli animali vivi, più che altro per studiarne la fisiologia) e la “tossicologia” (che metto tra virgolette perché era ancora nella sua infanzia, e per molti versi era una disciplina molto più chimica che biologica). Darwin stesso spesso insiste per l’uso del termine sperimentazione animale in maniera distinta da vivisezione, e visto che è il suo compleanno non gli si può certo fare un torto.

Se usassimo la più vasta definizione moderna, Darwin, che di sua mano aveva effettivamente sperimentato sui piccioni, sarebbe probabilmente da includere nei ranghi dei vivisezionisti; ma fare un ragionamento del genere non solo è sciocco perché non tiene conto del contesto storico, ma anche perché Darwin, quasi più di ogni altro, ha insistito affinché ci fosse una legislazione sulla sperimentazione, e, per certi versi, ha fondato l’interesse scientifico per per il benessere animale.

Prima di Darwin la questione più simile oggetto di dibattito era se gli animali avessero un anima oppure no; altri, in tempi più temporalmente vicini all’Origine delle specie, si interrogavano se gli animali potessero soffrire, sull’onda di Bentham; ma si trattava per lo più di dispute vuote, che arrivavano alle orecchie di chi stava nelle torri d’avorio e pochi altri.

Raramente si andava a toccare la questione del diritto dell’uomo di sfruttare gli altri animali: per il mondo vittoriano c’era, come diceva Giovanni Paolo II duecento anni dopo, un “salto ontologico”, una distinzione profonda tra l’essere animale e l’essere uomo. L’origine delle specie mostra che questo distinguo è una fregnaccia. Intanto ancora all’inizio del 1800 per le strade londinesi si giocava al cock-throw, in barba alla moderna sensibilità animalista.

Il “nobile” sport del cock-throw consisteva nel legare un gallo ad un palo, e lanciargli contro degli speciali bastoni fino ad ammazzarlo. Era considerato la versione più adatta ai bambini dei più comuni e più diffusi combattimenti tra galli. Pratiche di questo genere andarono avanti fino al 1840. La stampa qui sopra raffigurata è del 1820.  Photocredits: Wikicommons

All’inizio l’antivivisezionismo aveva motivazioni del tutto avulse al darwinismo. Ad esempio, i primi a proibire il già cock-throw nel 1660 erano stati i puritani: non per qualche particolare interesse nei confronti degli animali, ma perché questa pratica portava spesso a risse e dispute tra giocatori e tifosi. Dopo la seconda metà dell’800 oltre a Bentham e agli utilitaristi una nuova categoria si aggiungeva agli antivivisezionisti: le femministe, che spesso dicevano di essere più vicine nello spirito agli animali che agli uomini, e sentivano la violazione dei corpi animali come il risultato della stessa patriarchia che le opprimeva, tanto che, ai tempi di Darwin, femminismo e animalismo erano quasi sinonimi. Charles conosceva bene questo movimento anche perché una delle sue figlie, Etty Darwin, era in prima fila. Ma l’opinione pubblica andava cambiando, tanto che anche Darwin decise di far sentire la sua voce, per quanto avesse sempre rifuggito ogni forma di impegno pubblico e lasciasse le discussioni sull’evoluzione al suo “bulldog”, TH Huxley . Darwin in generale disprezzava ogni forma di crudeltà, tanto nei confronti dell’uomo quanto nei confronti dell’animale. Suo figlio Francis racconta come il padre fosse perseguitato dai ricordi degli schiavisti con cui aveva avuto a che vedere in Brasile, e come intervenisse contro le inutili crudeltà sugli animali:

The remembrance of screams, or other sounds heard in Brazil, when he was powerless to interfere with what he believed to be the torture of a slave, haunted him for years, especially at night. In smaller matters, where he could interfere, he did so vigorously. He returned one day from his walk pale and faint from having seen a horse ill-used, and from the agitation of violently remonstrating with the man. On another occasion he saw a horse-breaker teaching his son to ride, the little boy was frightened and the man was rough; my father stopped, and jumping out of the carriage reproved the man in no measured terms.

Del resto, una delle ragioni che portarono Darwin a perdere la fede era l’insensatezza della violenza in natura, non riconducibile ad un piano divino:

I cannot persuade myself that a beneficent and omnipotent God would have designedly created parasitic wasps with the express intention of their feeding within the living bodies of Caterpillars.

Non è però corretto sostenere che Darwin fosse una specie di attivista per i diritti degli animali ante-litteram: quello a cui più di tutto Darwin era interessato era una riduzione della sofferenza. Scrivendo allo zoologo di Oxford Ray Lankaster nel 1871, in richiesta della sua opinione sulla vivisezione, Darwin rispondeva:

You ask about my opinion on vivisection. I quite agree that it is justifiable for real investigations on physiology; but not for mere damnable and detestable curiosity. It is a subject which makes me sick with horror, so I will not say another word about it, else I shall not sleep to-night.

Come la stragrande maggioranza della comunità scientifica moderna, Darwin era convinto che la vivisezione e la ricerca animale fossero una attività vitale per lo sviluppo della scienza medica e della fisiologia, ma con rispetto dell’animale e minimizzando ogni forma di dolore inutile. Per questo, quando nel 1874 scoppiò il caso vivisezione nel Regno Unito, Darwin entrò in campo. Il 13 agosto del 1874 Eugene Magnan, un fisiologo francese, con quattro colleghi britannici, aveva partecipato ad una dimostrazione fisiologica agghiacciante sull’effetto dell’assenzio sul sistema nervoso centrale. Dei cani venivano immobilizzati e l’alcool iniettato direttamente in arterie precedentemente incise, mentre gli animali erano pienamente coscienti. Il direttore del Royal College of Surgeons in Irlanda, Thomas Joliffe Tufnell, che era presente, tentò di interrompere la crudele dimostrazione, ma la questione fu messa ai voti, e la procedura andò avanti. Tufnell, adirato, riportò la storia nel British Medical Journal, allora come oggi una delle più importanti testate mediche al mondo, e i fisiologi furono rapidamente messi alla gogna pubblica e portati a processo per via di questo abuso. O almeno, quelli inglesi: Magnan era già scappato in Francia al momento del processo. La questione entrò così nei salotti vittoriani, e gli antivivisezionisti poterono sfruttare il favore dell’opinione pubblica per partire alla carica. In cima alla lista c’era Frances Power Cobbe, una scrittrice femminista e animalista, che, anche tramite Etty, convinse Darwin a collaborare con la neofondata National Anti-Vivisection Society. Darwin era però preoccupato dai dettagli dell’ ” Act to amend the Law relating to Cruelty to Animals”, la legge che Cobbe, con l’appoggio di alcuni membri del parlamento, aveva iniziato ad abbozzare. In una lettera a sua figlia del 4 gennaio 1875 scrive a cuore aperto:

Your letter has led me to think over vivisection for some hours, and I will jot down my conclusions, which will appear very unsatisfactory to you. I have long thought physiology one of the greatest of sciences, sure sooner, or more probably later, greatly to benefit mankind; but, judging from all other sciences, the benefits will accrue only indirectly in the search for abstract truth. It is certain that physiology can progress only by experiments on living animals. Therefore the proposal to limit research to points of which we can now see the bearings in regard to health, etc., I look at as puerile. […] I would gladly punish severely any one who operated on an animal not rendered insensible, if the experiment made this possible; but here again I do not see that a magistrate or jury could possibly determine such a point. Therefore I conclude, if (as is likely) some experiments have been tried too often, or anaesthetics have not been used when they could have been, the cure must be in the improvement of humanitarian feelings. […] If stringent laws are passed, and this is likely, seeing how unscientific the House of Commons is, and that the gentlemen of England are humane, as long as their sports are not considered, which entailed a hundred or thousand-fold more suffering than the experiments of physiologists–if such laws are passed, the result will assuredly be that physiology, which has been until within the last few years at a standstill in England, will languish or quite cease.

Che fare, dunque ? Come assicurarsi che la legislazione potesse essere scritta in maniera sensata, tale da tutelare sia gli animali che il progresso scientifico, senza che nessuno dei due fosse vittima dell’ipocrisia vittoriana ? Darwin, insieme a suo genero Robert Litchfield, scrisse un nuovo e diverso disegno di legge, la “Playfair bill”,  dal nome del Dr. Lyon Playfair, che la propose effettivamente in Parlamento. Questa nuova bozza aveva almeno un paio di differenze importanti dalla proposta originale: non solo l’anestesia era richiesta in ogni occasione in cui fosse possibile, ma la vivisezione a fini dimostrativi, nelle scuole veniva completamente abolita. Cobbe non faceva questo genere di distinzione tra esperimento nuovo e semplice dimostrazione, e avrebbe condannato ogni forma di sperimentazione animale. La legge seguiva in maniera ragionevole le guidelines elaborate dalla British Society For The Advancement of Science (BAAS): Darwin scrisse ad Huxley che non solo le trovava il miglior compromesso possibile, ma anche la soluzione più umana. L’anno successivo, il 1876, vide il passare alla storia del  ” Cruelty To Animals Act “, su cui molto pesava la mano spirituale di Darwin, e che rimase la principale normativa in tema per quasi 110 anni. Per Cobbe questo non era tuttavia abbastanza. I due ebbero una piccola diatriba tramite lettere sul Times: la medesima questione della vivisezione stava nascendo in Svezia, e il Professor Homlgren, di Upsala, chiedeva pubblicamente un’opinione a Darwin. Questi, nella lettera pubblica, scrisse:

I have all my life been a strong advocate for humanity to animals, and have done what I could in my writings to enforce this duty. Several years ago, when the agitation against physiologists commenced in England, it was asserted that inhumanity was here practised and useless suffering caused to animals; and I was led to think that it might be advisable to have an Act of Parliament on the subject. […] On the other hand I know that physiology cannot possibly progress except by means of experiments on living animals, and I feel the deepest conviction that he who retards the progress of physiology commits a crime against mankind. Any one who remembers, as I can, the state of this science half a century ago must admit that it has made immense progress, and it is now progressing at an ever-increasing rate.

Darwin aveva già perso fiducia nei confronti di Frances Cobbe quando quest’ultima aveva editato senza il suo permesso una sua lettera prima della pubblicazione. Intanto il movimento antivivisezionista si aggiungevano nuove voci. Darwin ebbe senza dubbio una grande influenza in ciò: come facile esempio basta riportare le parole di Thomas Hardy che, nel 1909, scriveva:

 the practice of vivisection which might have been defended while the belief ruled that men and animals are essentially different, has been left by that discovery (la selezione naturale, ndr) without any logical argument in its favour

Ma la gran parte dei nuovi oppositori tra la fine dell’800 e gli inizi del 900 non avevano molto di darwinista, e neppure molto di scientifico. In primis, c’erano i socialisti, che vedevano gli scienziati come un elité e la scienza come strumento di oppressione governativa; dall’altro lato, stava nascendo un rigurgito anti-scienza, alimentato dalle sperimentazioni sull’uomo (e sugli animali) dell’inoculazione inventata da Pasteur, che veniva dipinto dall’opinione pubblica come una specie di Frankenstein. Nel 1883, ad esempio, quando il governo Francese premiò Pasteur per il suo lavoro, fu lanciata di rimando una campagna internazionale che eguagliava vaccinazione e vivisezione e che, tra le altre cose, diceva che

” […] science does not recognize in the great discoveries of M.Pasteur anything but the tissue of a dogmatic conception more likely to ruin than to enrich the country that would adopt them. ” 

Fortunatamente, queste campagne, più che scoraggiare la vivisezione, finirono per pubblicizzare l’inoculazione e le scoperte di Pasteur ancora maggiormente, permettendo le prime vaccinazioni di massa. Sfortunatamente, hanno finito per polarizzare ancora di più gli animi. Molti fattori sono entrati in gioco nel miglioramento delle condizioni degli animali e nella rivendicazioni dei loro diritti nella storia; è un peccato che l’impegno di un grande della storia come Darwin venga dimenticato.

Feller DA (2009). Dog fight: Darwin as animal advocate in the antivivisection controversy of 1875. Studies in history and philosophy of biological and biomedical sciences, 40 (4), 265-71 PMID: 19917485

Darwin, C (1881). Mr. Darwin on Vivisection Nature, 23 (599), 583-583 DOI: 10.1038/023583a0

Storie di Chimica da un Futuro Passato

Ho un problema.

Quando gifh mi ha invitato a partecipare al Carnevale della Chimica mi sono sentito, ovviamente, onorato.

Ma il tema, “ La Chimica del Futuro “, mi mette un po’ nei guai.

In primis perché, di fatto, di chimica non è che ne capisca poi così tanto. Ma soprattutto perché del futuro, io, non ne so assolutamente nulla. Già faccio fatica a capire il passato, con tutti i suoi fatti ordinati uno dietro l’altro, figuriamoci cosa può essere il futuro che neppure è ancora accaduto, nel suo vortice di infinite possibilità.

Isaac Asimov, per quanto sia stato incredibilmente avanti sui tempi ed abbia profetizzato svariate tecnologie e cambiamenti sociali che sono poi diventati realtà, lamentava che :

Predicting the future is a hopeless, thankless task, with ridicule to begin with and, all too often, scorn to end with.”

E se c’è un genere di lavoro che non mi piace è quello ingrato e senza speranza. C’è un solo modo per salvarmi da questa Kobayashi Maru: barare.

C’è un tipo di futuro che è già accaduto, e che mi permette di navigare in acque per me più tranquille: il futuro previsto, immaginato, disegnato e desiderato da generazioni precedenti alle nostre che, un po’ come facciamo noi,  caricavano il l’avvenire con i loro desideri e le loro paure.

E la chimica, di speranze ma anche di paure, ne ha sempre generate tante.

Niente dice futurologia come nuovi detergenti chimici, tute spaziali e la più totale incapacità di predire cambiamenti sociali. Pic Credits: TvTropes

Niente dice futurologia come nuovi detergenti chimici, tute spaziali e la più totale incapacità di predire cambiamenti sociali. Pic Credits: TvTropes

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