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Come comunicare la scienza efficacemente – Un bigino

Se il vostro buon proposito per il 2017 è imparare a fare comunicazione scientifica un pochetto meglio, mi chiedo cosa ci facciate qui: ci sono poche persone che hanno meno da insegnare di me in merito. Per fortuna io non sono in cattedra a sto giro.

Lo scorso dicembre, l’Accademia Nazionale delle Scienze Americana ha pubblicato un libello maneggevole di 127 pagine, una via di mezzo tra una guida su come comunicare la scienza in maniera efficace e una serie di obiettivi per chi si occupa di ricerca proprio in quell’ambito. Da lì il titolo, “Communicating Science Effectively: A Research Agenda”. (Potete scaricare aggratisse il preprint come guest, basta un email)

Questo post sarà una versione in italiano e un recap del sopracitato pamphlet, con il sottoscritto che per una volta stringerà i denti tenendo al minimo opinioni non richieste (le riconoscete perché sono in corsivo). Quando posso, i link bibliografici sono in open access o a pre-print, ma purtroppo non tutto è accessibile senza credenziali universitarie. Siccome sto riassunto è comunque voluminoso, se non volete la scomodità del browser potete scaricare una versione in pdf fatta maluccio qui.

Capitolo 1: Usare la Scienza per migliorare la Comunicazione della Scienza

La maggior parte della divulgazione scientifica si basa sull’assunto: “beh, se comunichiamo bene, il pubblico capirà meglio le questioni in cui la scienza ha voce in capitolo e avrà un atteggiamento più scientifico nell’affrontare i problemi”. Questo assunto è puramente un assunto: non ci sono prove che quello che è vero per altri tipi di comunicazioni sia trasferibile alla comunicazione scientifica, specialmente quando si tratta di temi controversi, e la scienza della comunicazione della scienza è roba nuova ed emergente e frammentata. L’assunto è vero o falso? Boh, non lo sappiamo.

Quell’assunto però in realtà nasconde che sotto il titolo “Comunicare la Scienza” stanno un sacco di possibili obiettivi prossimali e finali diversi, ad esempio:

  • Condividere le novità e l’entusiasmo per la scienza, aka il metodo Cheerleader progressista
  • Convincere il pubblico che la scienza è un modo utile di comprendere e navigare il complesso mondo moderno, aka “se ci pensi bene lo scientismo è una buona ideologia”
  • Aumentare la comprensione della scienza e delle conoscenze base per prendere specifiche decisioni, aka il metodo Bertrand Russell “di fronte a qualsiasi problema o nuova filosofia guarda solo ed esclusivamente ai fatti”
  • Influenzare opinioni, decisioni politiche e comportamenti di modo che siano in accordo con le evidenze scientifiche, aka “ma guarda che non lo dico io, lo dice la Scienza ™”
  • Convincere a partecipare alla discussione scientifica gruppi normalmente distanti per trovare soluzioni condivise a problemi collettivi aka un transumanista, un creazionista e un anarco-primitivista si mettono a fare un fishbowl su CRISPR

Qualunque sia il fine ultimo, la comunicazione tra la scienza e il pubblico può ovviamente portare a controversie. A tal proposito è importante quindi rendersi conto che non tutte le controversie scientifiche sono indesiderabili; siccome non siamo vulcaniani, nessuna decisione è mai genuinamente esclusivamente scientifica e se si vuole una scienza sana e la fiducia del pubblico è necessario essere disposti a negoziare, discutere di questioni di valore, fare trade-offs, menate varie. Di come parlare al pubblico quando ci sono controversie pre-esistenti ne parliamo poi nel capitolo 3. Per ora basti sapere che una delle poche cose che son chiare riguardo la scienza della comunicazione della scienza è che quando le cose NON sono ancora controverse la comunicazione scientifica è più efficace se gli scienziati discutono alla pari con il pubblico.

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Kardashian, bibliometria e calore umano

Non ho problemi ad ammettere che non sono una persona piena di calore umano. Le evidenze sono molte: la misantropia generale quando passo troppo tempo su Facebook, la temperatura corporea simile a quella di un rettile, il fatto che quando ho posto la domanda “Ma io sono pieno di calore umano?” alla mia ragazza ci sono stati 25 secondi buoni di silenzio prima che rispondesse “Che stai dicendo?”.

Quindi non sono rimasto particolarmente sorpreso quando uno studio recente dell’Università di Princeton ha riportato che gli scienziati, gli ingegneri e i ricercatori sono tre categorie che vengono percepite come competenti ma allo stesso tempo fredde.

Per fortuna siamo comunque messi meglio degli avvocati.

Per fortuna siamo comunque messi meglio degli avvocati. Credit: Susan Fiske, Princeton University, Woodrow Wilson School of Public and International Affairs

 

A guardare il grafico si direbbe che non siamo messi malissimo, ma per capire il risultato bisogna fermarsi un secondo a vedere la metodologia che i due autori, Fiske e Dupree, hanno utilizzato. In primis, hanno raccolto una lista di lavori tipici con un sondaggio on line a partecipazione libera. Questo spiega perché esistono due punti separati per distinguere “scientist” e “researcher”, che sono sostanzialmente sinonimi. Sì, ci sono ricercatori in lettere antiche e filosofia e altre discipline non scientifiche eccetera, ma di solito la persona qualunque quando pensa alla parola “ricercatore” pensa all’uomo in camice bianco che fa lo scienziato nella pubblicità dei dentifrici (occhio che la parola uomo non è a caso; ci torniamo poi).
Creata questa lista, un gruppo di americani selezionati a caso e diversi da quelli che hanno compilato la lista ha risposto a un altro sondaggio in cui non veniva chiesta la loro opinione su queste categorie, ma come queste categorie venissero percepite dal popolo americano in generale. Presente quel meme che andava di moda un po’ di tempo fa su Facebook “Come mi vedo io, come mi vede mia madre, come mi vede tua cuggina e vi discorrendo?”. Ecco, uguale, solo con più metodo scientifico.

Knowyourmeme mi dice che, tra l'altro, questo è stato uno dei primi esempi del meme.

Knowyourmeme mi dice che, tra l’altro, questo è stato uno dei primi esempi del meme.

È una tecnica che si usa abbastanza spesso in psicologia perché tende a ridurre l’influenza di pregiudizi personali e spesso convince la gente a riportare stereotipi in cui loro stessi non credono, ma di cui sentono l’effetto. L’ho fatto anch’io due paragrafi fa, ricorrendo allo stereotipo del ricercatore Colgate, in cui non credo minimamente ma che ho tranquillamente usato come scorciatoia intellettuale, attribuendola a questa misteriosa entità detta “gente qualunque”.

Gli autori analizzano poi le varie categorie e notano come lavapiatti e netturbini hanno punteggi bassi su entrambe le scale: è il ben noto effetto areola, per cui istintivamente crediamo che le persone belle hanno qualità belle e le persone brutte sono cattive. Queste professioni, che hanno a che fare continuamente con roba percepita come degradante o sporca o disgustosa, vengono quindi viste come poco competenti e fredde. La poca competenza ha anche a che fare con l’umiltà, sicuramente; ma perché un netturbino o un lavapiatti o una prostituta debbano essere stronzi non mi è ben chiaro. E probabilmente non è ben chiaro alla maggior parte di quelli che hanno risposto al sondaggio: stavano riportando le percezioni degli altri, loro! Mica pensano cose brutte sulle zoccole, loro…

Le professioni che hanno a che fare con la compassione e l’umanità e l’abnegazione, al lato opposto, sono quelle che hanno i punteggi più alti su entrambe le scale: ed ecco che gli insegnanti, i medici e le infermiere sbancano l’ammirazione del pubblico. Nessuno sano di mente farebbe mai l’insegnante o il medico se non fosse altruista e buono e non amasse le persone, no? Specialmente mischiarsi a bambini, adolescenti in crisi ormonali o vecchi malati. Bleah.

Infine ci sono gli scienziati, gli avvocati, i CEO e quel quadrante del grafico: professioni che sono viste come competenti ma anche di cui la gente può fidarsi poco e verso cui il pubblico ha poca empatia. Perché? Fiske e Dupree hanno usato una seconda scala con un terzo gruppo di persone che misurasse le motivazioni del perché la gente ha questi sentimenti contrastanti nei confronti degli scienziati (specificamente i climatologi, per via del casino in USA con gli “scettici” dei cambiamenti climatici). Le colpe includono: mentono con la statistica, complicano inutilmente le cose, sono interessati solo a far carriera, sono arroganti, sono di sinistra.

Ed ecco la conclusione a cui giungono gli autori, che a dire il vero non è questa gran perla di saggezza: il problema del pubblico con la scienza non è quasi mai ignoranza, ma è che degli scienziati, la gente, non si fida. Infatti sono percepiti come distanti dalle persone normali, con una percezione gonfiata della propria importanza, interessati più alla carriera che a mettersi al servizio degli altri nonostante siano il più delle volte dipendenti pubblici e, anche quando competenti, comprabilissimi.

E purtroppo hanno ragione. No, non Fiske e Dupree. Gli americani che pensano questa cosa.

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