Se foste stati per le strade di Roma, intorno al 1576, avreste forse potuto incontrare un uomo, vestito di cenci, camminare su e giù con passo irregolare per le strade della città, biasciando parole incomprensibili rivolte a nessuno in particolare. Chiedendo ad un indigeno, vi avrebbe detto che questi, un tempo, era stato un famoso medico e astrologo, fisiatra di grandi casate nobili, professore di medicina all’Università di Pavia. Vi avrebbe anche detto che la sua famiglia era stata colpita da una serie di sciagure, e lui era caduto in disgrazia.
Forse avrebbe saputo anche dirvi il nome: Gerolamo Cardano.
Cardano era un uomo del ‘500, come tutti i suoi contemporanei. Credeva nel destino, nell’astrologia, nella divinazione; ma era anche un giocatore d’azzardo. Cardano era nato per essere un giocatore d’azzardo. La sua comprensione del gioco trascendeva la matematica del suo tempo. A dirla tutta, l’algebra era ancora nell’età della pietra all’inizio del sedicesimo secolo: non esisteva neppure l’uguale come segno matematico, e per la maggior parte delle applicazioni si usavano ancora i numeri romani. Gerolamo era un grande scommettitore perché lui sentiva il gioco, ancor prima di capirlo.
Nessuna persona con la testa sulle spalle avrebbe mai puntato un soldo su Gerolamo, da bambino. Era nato nel 1501, quarto maschio, dalla madre Chiara, che evidentemente non aveva nessuna intenzione di metterlo al mondo, visto che appena scoperto di essere incinta tentò di abortire bevendo un intruglio a base di assenzio e orzo. Ripetutamente.
Intruglio che non face neanche il solletico al piccolo Gerolamo, ma lasciò la madre piena di problemi di stomaco e di odio per il figlio.
Gerolamo, inoltre, era un bastardo.
Era un bastardo in quanto il padre di Gerolamo, Fazio Cardano, non aveva mai sposato sua madre: una cosa alquanto insolita per l’epoca, e un gossip alquanto succulento. La madre, poco prima di partorire, scappo dal marito e andò a vivere dalla sorella a Pavia. Alla nascita, Gerolamo era piccolo, fragile, e, soprattutto, non piangeva. Chiara pensò di essere riuscita a sbarazzarsi di lui, arrivando ad avvisare i parenti dell’imminente funerale. La nutrice di Gerolamo invece, facendogli fare dei bagni nel vino caldo, riuscì a salvare il bimbo, e riportarlo in buona salute. La madre restò ulteriormente sconvolta.
La salute di Gerolamo durò per ben tre mesi, dopodiché prese la peste. La peste bubbonica. La speranza di vita per la peste, nel 1500, una volta che apparivano i bubboni, era di più o meno una settimana. I fratelli di Gerolamo morirono. La nutrice morì. Gerolamo riuscì a sopravvivere, seppur col viso sfigurato. La madre, a quel punto, si rassegnò.
Il papi di Gerolamo era amico di Leonardo da Vinci; per lavoro andava in giro tra le varie corti a consigliare i cortigiani su questioni amministrative e legali. Per aiutare la famiglia, Gerolamo divenne suo apprendista all’età di 5 anni. Il suo ruolo da apprendista consisteva nel farsi trascinare in giro da suo padre, che legava alla schiena di Gerolamo vari tomi legali e, quand’era necessario, si fermava in mezzo alla strada e usado la sua testa come tavolino, per leggere qualche passaggio o annotare qualcosa, assicurandosi con un ginocchio piantato nella schiena che il bimbo restasse dritto e stabile. Un’infanzia molto formativa, quasi quanto i contratti di apprendistato moderni.
Nel 1516, Gerolamo decide che vuole andare a studiare medicina, ma suo padre non è contento: vuole che studi legge e lo segua fino in fondo nelle sue orme, o, ancora meglio, nella sua ombra. Gerolamo non ci sta, e dopo un clamoroso litigio si iscrive comunque a Pavia; il padre, per ripicca, decide di non dargli alcun tipo di supporto economico.
E di necessità, Gerolamo fece virtù.
Dapprima, cominciò a fare oroscopi: era facile, visto che lui aveva studiato astronomia e, in ogni caso, esattamente come oggi, bastava inventare vaghe cialtronate nel modo giusto per trovare clientela. Con quei soldi, Gerolamo cominciò a… investire.
Carte, dadi, backgammon, scacchi, corse: ogni occasione era buona per scommettere, nel ‘500. Gerolamo aveva semplicemente classificato i giochi in due tipi: quelli di strategia, o d’abilità, e quelli che dipendevano puramente dal caso. Se avesse scommesso sugli scacchi, avrebbe rischiato di trovare un Bobby Fischer del sedicesimo secolo e perdere tutto; ma quando le scommesse erano su che lato sarebbero caduti due cubi numerati, allora le sue possibilità erano identiche a quelle degli altri.
Anzi, erano pure meglio. Cardano aveva una qualche comprensione di come funzionava la probabilità, che nessuno dei suoi avversari aveva. E così, giocando d’azzardo, nel giro di qualche mese mise da parte più di 1000 corone per pagarsi gli studi. Era più di quello che suo padre avrebbe guadagnato in 10 anni di lavoro. Solo dopo aver messo da parte questo gruzzolo, Cardano scrisse per la prima volta un trattato sulla teoria della probabilità.
Il Liber de ludo aleae parlava di carte, dadi, backgammon e astragali. E di come vincere. Su certi argomenti fa dei buchi nell’acqua clamorosi, ma Cardano ha un idea geniale nel trovare quella che lui chiama una regola generale: lo spazio degli eventi.
Lo spazio degli eventi si riferisce all’idea che si può pensare al risultato di un processo casuale come a dei punti in uno spazio. Nei casi semplici lo spazio può contenere pochi punti; nei problemi complessi, può essere un continuo, con i singoli punti quasi indistinguibili.
Gerolamo aveva fatto Jackpot. Se un dado poteva cadere solo su una di sei facce, sei punti costituivano lo spazio degli eventi, e scommettendo su 2 di essi, aveva 2 probabilità su 6 di vincere.
Può sembrare una cosa ovvia, ma non lo è affatto. Ancora nel diciottesimo secolo, D’Alambert, il matematico e enciclopedista, aveva qualche problema ad afferrare il concetto, pur essendo autore di svariati trattati sulla probabilità. Secondo D’Alambert, ad esempio, lanciando due monete, il numero di teste che potevano uscire erano 0, 1 o 2; quindi, secondo lui, la probabilità di ciascun risultato era 1 su 3. Ma D’Alambert si sbagliava. E Cardano, se avesse potuto, gli avrebbe fatto notare che avrebbe dovuto considerare lo spazio degli eventi, i risultati possibili erano 4, non tre (TT, TC, CT, CC). Cardano avrebbe detto che solo 1 caso su quattro dà due teste, ma due volte su quattro sarebbe uscita almeno una testa: e quindi puntando 2 a 1 sull’uscita di una singola testa avrebbe perso solo la meta delle volte, e triplicato i suoi soldi l’altra metà. Non c’è da stupirsi che sia diventato ricco alla svelta.
Col tempo e il denaro dalla sua parte, Cardano diventò un gigante intellettuale: pubblicò 131 libri sugli argomenti più disparati, dalla filosofia alla matematica, e diventò uno stimato medico prima, e un professore di matematica dopo; è buona cosa precisare che non pubblicò il suo libro sul gioco d’azzardo, salvo sempre avere un piano di riserva. Cardano sarà anche stato brutto e irascibile, ma di certo non era scemo.
Scrisse molti altri trattati importanti per la storia della matematica, tra cui l’Ars Magna, in cui per primo descrisse come risolvere certe equazioni algebriche. O meglio: il primo a pubblicarle; Niccolò Tartaglia, quello famoso per il suo triangolo, c’era arrivato pochi anni prima, ma le aveva tenute nascoste al pubblico. Inutile dire che se la legò al dito. A cinquant’anni, Cardano era professore di medicina all’Università di Pavia, all’apice del suo successo.
Successo che non durò a lungo. La fortuna, alla fine, girò anche per lui. Sua figlia, Chiara, che aveva preso il nome della madre, sedusse suo fratello maggiore, Giovanni, e restò incinta. Ebbene sì, incesto. La vita di Cardano sarebbe perfetta per uno sceneggiato televisivo. Riuscì ad abortire, ma restò sterile; il che non fu neanche un particolare dispiacere per lei, visto che era parecchio promiscua, e alla fine morì di sifilide. Giovanni studiò da dottore, ma divenne più famoso come criminale; non fu tanto bravo, visto che si fece beccare da un suo più furbo rivale mentre avvelenava una guardia cittadina. Il rivale lo ricattò, costringendolo a sposare sua figlia, per ottenere la ricca dote che solo un matrimonio con un Cardano poteva garantire. Nel frattempo, l’altro figlio di Gerolamo, Aldo, diventò un torturatore per la Santa Inquisizione. Giocava anche d’azzardo, ma non aveva il tocco o l’intelligenza del padre, che si trovava continuamente costretto a pagare i suoi debiti.
Giovanni non perse il vizio di avvelenare la gente neppure dopo il primo fallimento, e uccise con un bel dessert la moglie. Peccato che le autorità non fossero completamente idiote (almeno a quei tempi) e subito le accuse ricaddero su di lui: Gerolamo spese una fortuna in avvocati e bustarelle, ma non riuscì ad impedire l’esecuzione del figlio. Non avendo più potere economico, i rivali di Gerolamo lo colpirono duramente. Fu accusato di sodomia ed incesto, ed esiliato dalla provincia di Milano. A quel punto, quando già era a terra, la sorte continuò a prenderlo a calci, e il delirio s’impadronì di lui.
Come colpo di grazia, Niccolò Tartaglia, che era ancora infuriato con lui per la pubblicazione dell’Ars Magna, corruppe Aldo Cardano con la promessa di diventare boia ufficiale della città di Bologna, e lo fece testimoniare contro suo padre. Cardano fu imprigionato per qualche anno, e la sua follia andò peggiorando. Alla fine fu liberato, e visse i suoi ultimi anni in povertà, mendicando a Roma.
Il Liber de ludo aleae fu pubblicato soltanto nel 1663, più di 100 anni dopo che il giovane Gerolamo aveva per la prima volta scoperto i segreti del caso.
Wow interessante!