Agricoltura per coleotteri: come ti trasformo un parassita in un nutriente snack

Gli esseri umani non hanno inventato l’agricoltura.

Ci sono specie di formiche e di termiti che costruiscono vere e proprie serre e giardini, strutture specializzate gargantuesche che ricordano l’agricoltura estensiva umana, in cui coltivano specie di funghi con cui hanno una imprescindibile relazione mutualistica. E, che si tratti di tagliare foglie da dar da mangiare alle formiche, o di mungere gli afidi che si allevan con fatica, son quasi sempre solo gli insetti eusociali, quelli che vivono tutti imparentati in grosse colonie, che possono permettersi questo genere di investimento industriale.

Ed è difficile capire come una relazione così stretta e da cui così fortemente dipendono sia l’agricoltotore che l’agricolto sia potuta evolversi attraverso passaggi graduali fino a questo perfetto mutualismo.

Ma dal Giappone arriva una ricerca con un sacco di cose che piacciono a me: insetti, parassiti, lieviti, e creature che indirettamente fanno del male ai Panda depositando uova nel bamboo.

Tendenzialmente io preferisco fare male ai panda direttamente .

Ok, tecnicamente, Doubledaya bucculenta, vivendo in giappone e depositando le uova nel bambù morto o morente, non compete con i Panda per risorse o habitat. Ma, in ogni caso, questo coleottero è la dimostrazione che con un po’ di creatività si possono evolvere metodi più intelligenti di usare i germogli di bamboo che mangiarne quintali al giorno.

D. buccolenta in tutto il suo splendore. Photo Credits: QUESTO blog giapponese

Le femmine di questo coleottero fanno un foro nel bamboo con le loro mandibole specializzate, depositano un uovo nella cavità interna, e tappano il buco con fibre di bambù stesso, lasciando la prole al sicuro per maturare. Niente di particolarmente strano, se non fosse che in ogni singolo nido analizzato in cui D. buccolenta lascia un uovo, sulla parete interna del bamboo cresce uno spesso strato bianco di un fungo. Questo fungo della famiglia dei Saccaromiceti, cioè dei lieviti, Wickerhamomyces anomalus , oltre a foderare le pareti e i nodi del bambù ricopre anche parzialmente le larve del coleottero dopo la schiusa. Considerato che la larva sostanzialmente si rotola sulle pareti “fiorite” non è una scoperta poi così sorprendente, ma la domanda sorge spontanea: perché c’è questa associazione costante fra fungo e Doubledaya buccolenta ?  E’ un parassita della larva ? E’ un parassita del bamboo ? E’ un simbionte che viene sguinzagliato dal bamboo per combattere la larva ? E’ un simbionte del coleottero che digerisce il bamboo per la larva ?

Tutti i protagonisti della nostra storia: la femmina adulta di D. buccolenta (A) che sgranocchia il bamboo forandolo (B, C) per farne un nido per la sua larva (D) che però così resta infestato da colonie fungine di W. anomalus (F,G), mentre normalmente contiene solo midollo fibroso (E)

Ovviamente mi sono già giocato la risposta al mistero quando ho deciso di parlare di agricoltura nella premessa, ma anche così, la storia resta interessante. Andando a raccogliere e analizzare le femmine di Doubledaya buccolenta i ricercatori hanno trovato una strana sacca, una struttura speciale, proprio vicino all’ovopositore. Il nome tecnico per questo genere di cose è micangio: e, come avrete già intuito, non è nient’altro che una nursery per lieviti, non casualmente geneticamente identici a Wickerhamomyces anomalus. 

Quando la femmina deposita l’uovo, insomma, semina anche il lievito. Ma perché fare una cosa del genere ? Beh, i ricercatori si sono sbizzarriti nel cercar di far crescere le larve di D.buccolenta in laboratorio. Ricostruendo le condizioni selvatiche, in cui la larva cresce nel bamboo infetto, questa non ha alcun problema, e raggiunge lo stadio adulto. Se però si autoclava il bamboo, disintegrando anche la minima traccia di W. anomalus, ecco che il cucciolotto non può superare il secondo stadio ninfale. Semplicemente, smette di crescere. Almeno finché il ricercatore, impietosito, non semina un po’ di lievito nel bamboo: in tal caso, la larva riprende a crescere come se nulla fosse.

La larva non può fare a meno del lievito per crescere, e il lievito non può fare a meno dell’adulto per passare da una pianta di bamboo all’altra. Mutualismo agricolo. Ma, è bene sottolineare, mutualismo asimmetrico.

D. buccolenta non può crescere senza che la larva abbia intorno il lievito: ha molto più bisogno di W. anomalus di quanto W.anomalus abbia specificamente bisogno di un coleottero come vettore. E’ molto probabile che ci siano ceppi di lievito che vivono e si diffondono tranquillamente senza alcuna interazione con una specie agricoltrice: questo è sicuramente vero per quanto riguarda varie specie di insetti agricoltori, come le formiche tagliafoglie. E’ possibile che questa relazione mutualistica sia nata inizialmente come forma di parassitismo da parte del fungo, che, da bravo autostoppista, ha iniziato a sfruttare il coleottero per penetrare all’interno del bamboo, una pianta notoriamente tosta e resistente.

All’interno del bamboo il lievito ha a questo punto totale monopolio sulle risorse ambientali; non solo perché ha il vantaggio di entrare dove altri non riescono ad entrare, ma perché, come tanti altri lieviti della sua famiglia, è sostanzialmente un maniaco omicida, e fa terra bruciata impedendo la crescita di altri batteri. Questo contemporaneamente aiuta la larva, che ha un ambiente antisettico in cui crescere senza dover spendere niente in amuchina, ma gli rende anche più difficile crescere, perché il legno, se non è predigerito, è difficile da mandar giù.

Cos’è molto più commestibile del legno? Un fungo, ad esempio. Ed ecco che alla larva conviene molto più essere fungivora che fitofaga, e quella che prima forse era una forma di parassitismo da parte di un lievito, diventa una forma di mutualismo.

Mutualismo asimmetrico, certo; ma pur sempre talmente conveniente da convincere un coleottero giapponese a non andare mai in giro senza una sacca piena di lievito.

  1. Splendido articolo, grazie!
    Devo dire però che leggere “un’uovo” fa un po’ rabbrividire. Per fortuna si può correggere.

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