Durante il diciassettesimo secolo, i giardini inglesi cominciarono a riempirsi di bastardi, muli, mostri, canaglie, freaks e altre stranezze assortite. Naturalisti e giardinieri di ogni tipo erano disposti a pagare bei soldoni per queste nuove piante che sembravano miscugli di altre piante segnate negli erbari. Ma erano i filosofi naturali che in particolare erano ossessionati da queste stramberie.
Nella prima metà del 1600 Nehemiah “Nel tempo libero ho inventato l’anatomia vegetale” Grew aveva proposto la sconvolgente e controversa idea che le piante avessero due sessi. Rubacchiando dagli appunti del grande microscopista italiano Marcello Malpighi, teorizzò che gli stami fossero gli organi maschili dei fiori, e che il polline era lo sperma maschile. Fu un ligio osservatore, ma non si sporcò mai le mani a dimostrarlo: ci volle un medico tedesco, Rudolf Jakob Camerarus, per dimostrare in una dozzina di piante differenti che sì, per fare i semi le piante dovevano fare sesso. Di fonte a queste scoperte, gente come John “ho inventato il concetto biologico di specie” Ray e Carl “tienimi la birra che devo inventare la tassonomia” Linneo cominciarono a classificare le piante esaminando gli organi riproduttivi e quali si potevano incrociare.
Ma un sacco di piante si rifiutavano di comportarsi bene e lasciarsi classificare. Da cui, la pletora di aggettivi infami con cui venivano coperti. Alcuni nella prima metà del 1700, stavano cominciando a tirare in ballo concetti allucinanti ed eretici, come la trasmutazione delle specie (gasp!) o addirittura l’evoluzione (stragasp!).
Prima però che si diffondessero certe idee balzane, il mistero di questi bastardi fu risolto da Richard Bradley, professore di botanica a Cambridge, e dal modesto giardiniere e fiorista Thomas Fairchild.
Nel 1717, Fairchild aveva intenzionalmente incrociato il Garofano comune (Dianthus caryophyllus) e il Garofano dei poeti (Dianthus barbatus), due piante simili all’occhio di una persona qualsiasi, ma non ad una persona “Naturalmente incline al Genio” come si autodescriveva Bradley. Quello che nè uscì fu il primo ibrido artificiale che conosciamo, il “mulo di Fairchild “, di cui è sopravvissuto questo esempio nell’erbario dell’università di Oxford. Mulo, perché come il mulo, la pianta era sterile, e non faceva semi.
In un sol colpo, questo confermava che le piante facevano sesso, che la definizione biologica di specie funziona, e che non c’è nessuna trasmutazione o nuove specie naturali sulla terra, solo rimescolamento di quello che c’è già, stai trà arcivescovo! Dai, in 1 su 3 ci avevano preso.
Oggi gli ibridi di prima generazione, sterili o meno che siano, sono la spina dorsale dell’agricultura, dell’orticultura e del miglioramento vegetale. E sono tutte nate da un mulo.
Photocredits: Oxford University
Bibliografia: History of Botanical Science: An Account of the Development of Botany, Alan G. Morton
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